Jack Kerouac: l’antieroe e la sua confusione rossa

09.04.2020

Di Isabella Garanzini 

L'obiettivo di Jack Kerouac era scrivere una grande saga d'America, con lui stesso come protagonista errante intento a vivere e annotare, percepire e tradurre in parole semplici l'unica cosa che avesse da offrire: la sua confusione. Si potrebbe quasi raccontare lo scrittore, prendendo in prestito le parole che il pittore Giorgio de Chirico utilizzò per descrivere la serie delle Piazze Metafisiche, come "un puntino nero di gomma fusa" che cammina in un mondo a tratti assolato e a tratti dannunzianamente perlaceo di piogge. 

In On the road (1957) il puntino ebdomeriano si chiama Sal (alter ego dello scrittore), e lascia la sua casa a New York per recarsi nella leggendaria Denver dove lo attendono i suoi amici, i pazzi. Quelli che "a quel tempo danzavano per le strade, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d'artificio nella notte". 

Un viaggio da una costa all'altra del paese, con risvegli depersonalizzati nel mezzo della rêverie in un hotel addormentato "al confine tra l'Est della mia giovinezza e il West del mio futuro", per avvicinarsi sempre più a "quel qualcosa" ("It in inglese"). "Quel qualcosa" che avvicini all'autenticità delle sensazioni, alle pulsioni rosse come il sangue cherokee di Kerouac e profonde come le acque nere onomatopeicamente rumorose e i venti azzurri di Big Sur. 

La missione dei poeti della Beat Generation fu scongiurare quel che Thoreau descrisse spregiamente come la massa, che "vive in quieta disperazione". E allora che sia la roboante Denver o la triste Frisco fino al rovente Messico con le sue corride rosso sangue, o le pallide e lattiginose stelle che brillano nelle notti in cui Robert Frank spia i The Americans, non c'è altro modo per allontanarsi dalla mediocrità se non andando sulla strada, e "prima o poi si fa il giro del mondo, non può finire in nessun altro posto, no?". Qualunque strada, "quella del santo, la strada del pazzo, la strada dell'arcobaleno, la strada dell'imbecille, qualsiasi strada", finisce per ricongiungere l'euforia con la grande tristezza, che insieme come nobili angeli in preda all'estasi compiono un gran tuffo da un trampolino verso la dissoluzione psicofisica. 

Alcool, benzedrina, la viscerale ricerca di orgasmi fattisi personalità letterarie e crude (come Neal Cassady), l'ebbrezza colorata e odorosa dei boschi dannunziani disincantati dal controllo dell'homunculus moderno (I vagabondi del Dharma) acuirono la guerra fredda di Kerouac, tra i lampi di Es e le quieti di Morfeo. Un giorno del 1966, negli studi Rai, Kerouac dichiarò a Fernanda Pivano (la "signorina bella e intellettuale di Milano") che "Dottor Sax è il mio libro preferito, On the road l'ho scritto da giovane e mi piace. Ma sai, io nel mio lavoro scrivo sempre la vita vera". E con la sua Stimmung (stato d'animo di ritorno all'infanzia) che emerge nei ricordi dolci di freddi consolatori frappè rosa in un torrido agosto (Pic) o nello sventolare lento delle tende damascate a ritmo di un fil d'aria (Un mondo battuto dal vento), Kerouac si fece cantore della "nostalgia della giovinezza e della melanconia della realtà che lo divora". Scrisse d'istinto l'America giallo chartreuse dei personaggi solitari di Edward Hopper, e al contempo nutrì e sfibrò se stesso con la baudelairiana ubriacatezza "di vino, di poesia o di virtù: come vi pare [...] Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra".

"A quel tempo danzavano per le strade, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d'artificio nella notte"

Henry David Thoreau, uno dei grandi ispiratori di Jack Kerouac 

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