Il flacone sepolcrale

«Il flacone sepolcrale» è il mio nuovo inventario magico. Il suo nome è tratto dal poema «Le flacon» di Charles Baudelaire, al quale pospongo l'aggettivo «sepolcrale». Dentro la boccetta vitrea di Baudelaire risiedono migliaia di pensieri crisalidi, dimenticati dal tempo; sono fiori appassiti, maledetti: sono i Fiori del Male. Eppure, talvolta questi pensieri riemergono in superficie, uscendo dal mare scuro come il vino o ridiscendono dagli astri infuocati. Con il loro profumo inebriante spiccano il volo, muniti di ali «tinte d'azzurro, di rosa ghiacciato, laminate d'oro». Baudelaire ha osato aprire lo scrigno d'Oriente e similmente farò io; anzi, noi. Sonderemo gli abissi più profondi, forse non della conoscenza. Ed ecco che quando crederemo di aver colto l'essenza di quei pensieri cristallizzati nei secoli, come suole essere la salgemma preziosa nelle grotte di Salisburgo, la Vertigine ci spingerà verso «una voragine oscura di miasmi umani». Ho sempre provato immensa fascinazione per i simboli. Adoro osservare il mondo attraverso un velo. Il velo di Maya? Perché no. Do forma alle cose, ai pensieri, al cosmo... Ma così va a finire che divento Dio! Non preoccupatevi, non leggerete le parole di un megalomane (o forse sì?) 

Sangue e materia arcaizzanti 


Spesso a torto si è creduto che la scultura e l'architettura ottocentesche non fossero sufficientemente degne di nota. E certamente si ha ragione di crederlo quando ci si imbatte, nelle nostre città, in alcuni imponenti edifici di epoca "umbertina", spesso tanto maestosi quanto vanamente retorici. 

L'Ottocento fa spesso riemergere in maniera solenne, ripetitiva, elementi di un passato glorioso e intramontabile. 

Ciò fa pensare ad un'età scarsamente produttiva in termini artistici, incapace di creare, innovare, inventare. Sarà una delle molte critiche rivolte dalle élite culturali fasciste e dallo stesso Mussolini, il quale, in occasione delle Mostra della Rivoluzione fascista, arriverà al punto di voler rivestire la facciata di Palazzo delle Esposizioni in Via Nazionale, a Roma, sostituendola con un'architettura moderna, degna di un'epoca che vuole sì preservare la tradizione, ma spingersi oltre, varcando le soglie della modernità. 

In un contesto conservatore, dicevamo, si muove questo grande scultore, Salvatore Pisani. Conservatrice è la sua visione. 

I suoi modelli sono Bernini, guarda ai pittori toscani del Rinascimento. Siamo nell'era del Risorgimento. Gli antichi riemergono in superficie trasportati dalla risacca per la seconda volta, dopo essere stati seppelliti e gettati a mare dalle mani dei Barbari. 

Il passato manifesta tutta la sua potenza, il suo vigore nelle opere plasmate dalle mani robuste di Pisani. E' un fuoco che non si estingue e che innalza un inebriante profumo di incenso nell'alto del cielo. Pisani fa resuscitare, risorgere Bernini nelle vestigia incartocciate e morbide di angeli sublimi, che sembrano fanciulle e giovani ragazzi venuti da mondi lontani, onirici, inesplorati. Figure alate degne di un Pietro Cavallini della scultura. I suoi busti, i suoi santi e le sue Vittorie alate si stagliano contro orizzonti celesti, oppure si fondono, si sciolgono, si squagliano aderendo alla materia. Il bronzo si tramuta in lava nel Monumento funebre a Carolina Rosa Scandella (81x224x204) del 1898. Il marmo si liquefà e diventa latte, pura sostanza, nei bassorilievi eseguiti per la cappella Hayez del cimitero monumentale di Milano. 

Pisani rivela uno spirito congiunto a quello di Sanmartini. Interpreta i grandi artisti del passato con originalità e sorprendente maestria. Non può che definirsi un conservatore rivoluzionario. 

Pisani è un visionario, ma anche un uomo di passioni, incline alla terra quanto al cielo. Non rinuncia ad una narrazione, sebbene in forma potentemente lirica, del mondo agro-pastorale dal quale proviene, conferendo un'aura quasi sacra a scene di vita contadina come l'Angelus Domini del 1891, oggi custodito in una collezione privata. 

Sono convinto che Pisani è un poeta del mito, della tradizione, mentre meno sacri, più retorici, appaiono necessariamente i busti dedicati ai membri delle più illustri casate gentilizie. 

Uno spirito borghese, in realtà molto distante dai vizi e dalle richieste della nobiltà. 


Le immagini - eccetto l'ultima - non si riferiscono alle opere dell'artista. 

https://www.artistipisani.it                     

Filosofia

Abitare poeticamente


In allegato al quotidiano L'Avvenire, è stato pubblicato un reportage dedicato alla vita delle popolazioni mondiali in quelle che vengono definite le "terre estreme"; territori nei quali le condizioni climatiche appaiono ostili e dove si riscontra un'incessante penuria in termini di risorse naturali, spesso a causa dell'azione invasiva dell'uomo, che della terra assurge a nuovo padrone, anziché ospite. 

Martin Heidegger avvertì la minaccia incombente sul pianeta blu e denunciò con veemenza l'essenza usurpatrice della tecnica, ritenuta la vera responsabile dello sfruttamento incondizionato del suolo inteso come fondo, materia da prelevare ai fini della produzione e delle attività di sostentamento. 

Eppure, come ha rilevato lo scrittore Andrea Semplici nel suo articolo "Nessun luogo è impossibile", apparso sul mensile Luoghi dell'infinito (luglio/agosto 2018, n.230), l'attaccamento alle radici innesca un meccanismo di resistenza da parte delle popolazioni autoctone costrette ad abitare luoghi remoti ed apparentemente ostili. 

"Abitare" è l'espressione di cui si servono gli scrittori ed i giornalisti che hanno realizzato l'inchiesta. Lo stesso verbo impiegato dal più importante pensatore del XX secolo, Martin Heidegger, per designare l'essenza di ciascun uomo. 

Se il senso dell'umanità consiste nell'abitare, ciò significa che la terra possiede un immenso valore. E' la nostra stessa casa, la dimora naturale da cui prendono vita le azioni del vivere quotidiano. 

Abitare, per Heidegger, non è un semplice dato di fatto, un aspetto contingente e meramente casuale, rivelante la nostra staticità. Abitare, al contrario, coincide con la riconoscenza, il senso di appartenenza a questi luoghi. Luoghi che non coincidono necessariamente o soltanto con le piccole patrie, bensì con il mondo (In-der-Welt-sein, ovvero essere-nel-mondo). 

Perciò l'uomo (l'esserci, secondo H.) si prende cura di esso e aderisce al progetto del "coltivare-costruire". 

E' lo stesso filosofo, tuttavia, ad indicarci che questo "merito" rimane secondario rispetto alla vera essenza dell'abitare. 

L'idea di un mondo imperniato sul principio di conformità a scopi, caro ai pensatori di ispirazione kantiana, è una conseguenza diretta di quell'abitare, soggiornare poetico. 

"Poeticamente abita l'uomo" scrive Heidegger in uno dei suoi celebri saggi pubblicati nel 1954 dalla Verlag Günther Neske Pfullingen. 

Il detto proviene da uno splendido scritto del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, ripreso per l'occasione da Martin Heidegger. 

Pieno di merito, ma poeticamente, abita / L'uomo su questa terra 

Tale specificazione, racchiusa dal complemento "poeticamente", è in realtà il pilastro su cui viene edificato il pensiero di Hölderlin e quello heideggeriano. Si tratta dell'essenza stessa dell'abitare. L'essere umano "si misura" cioè con ciò che lo circonda. Vive, nel suo rapporto con il mondo, come se egli e la terra costituissero un'unica entità, unità inseparabile. 

L'uomo si muove similmente ad un globulo rosso nel sangue pompato in un'arteria, laddove il canale sanguigno è la terra e l'uomo la linfa che scorre dentro di esso. 

Servendosi di alati pensieri, l'uomo (non il poeta) vola verso il cielo senza fuggire dalla realtà o perdersi nella fantasia. Vive ed ama; accoglie cioè il messaggio dello Zarathustra di Nietzsche che ci esorta ad osservare e lasciarci trasportare. 

Se questa è la nostra dimora, il grembo materno in cui continuiamo a muoverci, allora dovremo anche avere rispetto del pianeta. Abitare è più di un modo di essere; è la nostra essenza stessa.                     

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