All'Italia serve più capitalismo

03.02.2021

Di Alessandro Cantoni 

Il nostro sistema economico nazionale non riesce a decollare. Le ragioni non sono solamente politiche, bensì dovute a carenze strutturali del capitalismo italiano.

La nascita dell'Iri dopo la crisi del '29 fu anche la logica conseguenza di un'incapacità gestionale da parte della classe imprenditoriale-padronale. Persino nel dopoguerra, la mano dello Stato è stata pesante ma, allo stesso tempo, necessaria, per correggere un'evidente deficienza a livello finanziario, manageriale ed amministrativo.

Allo stato attuale, le società private, in Italia, non sono in grado di fare sistema e, quindi, di essere competitive sul mercato. Montedison, nata dalla fusione della Montecatini (che aveva ottime prospettive di investimento) e della Edison (provvista del capitale necessario alla realizzazione dei progetti) rappresentò, nel 1966, un'idea brillante per rilanciare la chimica e raggruppare vari azionisti pubblici e privati. L'obiettivo in sé, finalizzato alla creazione di un grande polo industriale centralizzato, risultò brillante, mentre si rivelò catastrofica la gestione aziendale pilotata da Cuccia e affidata a personalità autarchiche come Giorgio Valerio ed Eugenio Cefis.

In un universo imprenditoriale controllato dalle correnti partitiche non poteva avere vita facile nemmeno la strategia di Mario Schimberni, che voleva trasformarla in una public company.

I difetti del capitalismo italiano sono sostanzialmente due: il modello fondato su piccole e medie imprese, incapaci di fare sistema sulla scia dei grandi gruppi; in secondo luogo, la reticenza verso gli investimenti di medio-lungo periodo. Certo, la politica ha delle responsabilità per quello che riguarda le agevolazioni fiscali e gli incentivi, ma, in generale, sussiste una mentalità refrattaria all'aggiornamento produttivo e tecnologico.

Unire competenze, risorse, management e capitali è la chiave di successo di ogni capitalismo competitivo. Rafforzare il sistema delle public company a proprietà diffusa significa agire compatti sul mercato internazionale. La debolezza degli istituti di credito non rende certo le cose più semplici. Oggi sono soprattutto le Fondazioni a favorire gli investimenti aziendali, in particolare Banca Intesa si aggiudica un ruolo di primo ordine. Intesa San Paolo ha, di recente, stretto un accordo con Assolombarda "per sostenere la stabilità finanziaria delle aziende, in particolare le PMI, e per promuovere la crescita del territorio.", come ha dichiarato a Milano Today il Direttore Generale di Assolombarda, Alessandro Scarabelli.

Vi è, infine, il problema non irrilevante dell'istruzione e, dunque, della formazione professionale. Per reggere di fronte alle sfide della competitività globale, sono richieste sempre maggiori qualifiche nell'ambito dei quadri aziendali e della catena operativa. Ora, se guardiamo alle statistiche europee circa la specializzazione degli studenti italiani, notiamo una significativa discrepanza. Qualifiche professionali e titoli di studio generici non sono d'aiuto al sistema imprenditoriale in costante fase di aggiornamento e di crescita. Occorre investire nell'istruzione e nella ricerca per poter dare solide fondamenta al capitalismo di domani.

Per tornare a crescere, dobbiamo nuovamente guardare al modello Iri di Beneduce (nessuna gestione diretta dello Stato o nazionalizzazione, criteri gestionali privatistici, collaborazione con i privati) e, in generale, al sistema delle partecipazioni statali. Con un modello di economia mista, lo Stato interviene come regolatore e non in qualità di gestore, attraverso partecipazioni azionarie in grandi società private, strategiche per il paese, che però non sono in grado di agire significativamente sui mercati e che comprometterebbero, così, lo sviluppo economico nazionale stesso.

In generale, occorre una nuova cultura imprenditoriale fondata sul modello delle grandi holding, capaci di confrontarsi con il mercato borsistico e, se necessario, di finanziare la crescita senza ricorrere prevalentemente agli istituti di credito.

Per quanto riguarda la partecipazione pubblica, si tratterebbe di management, e non di erogazione di fondi a pioggia, da integrare alle forze degli azionisti privati.

Il passaggio fondamentale dall'impresa familiare alla grande impresa, come scrive il professor Giulio Sapelli nel saggio Sul capitalismo italiano, deve risultare, in generale, dall'integrazione tra management e famiglia, "nel dominio relativo del primo sulla seconda quanto a decisioni sull'allocazione delle risorse e sulla delineazione delle strategie".  

© 2024 La fucina delle idee. Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia