Annichilire l'io: una prospettiva percorribile?

30.01.2022

Di Alessandro Cantoni

Per Carl Gustav Jung, il Sé è il luogo in cui si svolge la vita della mente a livello conscio ed inconscio:

Poiché l'Io è solo il centro del campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi tra l'Io e il Sé, in quanto l'Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il è il soggetto della mia psiche totale, quindi anche di quella inconscia. In questo senso, il Sé sarebbe un'entità (ideale) che include l'Io. Nelle fantasie inconsce il Sé appare spesso come una personalità di grado superiore o ideale: così Faust in Goethe e Zarathustra in Nietzsche.

(Jung, Tipi psicologici, OJ, pp.468)

Se l'uomo rinuncia all'Io, lasciando che il proprio Sé abbracci in toto ciò che Jung definisce "spirito del profondo", la conseguenza sarà una follia insana. Occorre un equilibrio tra lo "spirito di questo tempo", ossia la ragione, la lucida scienza capace di distinguere l'Indifferenziato, e lo "spirito del profondo", irrazionale e derivato dalle nostre intuizioni:

Parlate di insano vaneggiamento quando lo spirito del profondo non può più ritirarsi e costringe l'uomo a parlare in lingue incomprensibili anziché in linguaggio umano, e gli fa credere di essere lui stesso lo spirito del profondo. Parlate però anche di insano vaneggiamento quando lo spirito di questo tempo non lascia andare l'uomo e lo costringe a vedere sempre soltanto la superficie delle cose, a negare lo spirito del profondo e a ritenersi egli stesso lo spirito del suo tempo. Lo spirito di questo tempo non è divino, lo spirito del profondo non è divino; divino è l'equilibrio fra i due.

(Jung, Libro rosso, Liber primus, Viaggio infernale nel futuro, p.38)

Bisogna anche saper rimanere coscienti, e dunque salvaguardare l'Io, se non si vuole cadere nelle braccia della follia insana o patologica, che porta ad identificarsi con i propri pensieri:

In questo potete distinguere la follia insana da quella divina. Potete chiamare insano chi fa l'una cosa e tralascia l'altra, perché la sua bilancia è squilibrata.

(Ibidem)

In altri termini, il Sé crea significato alle cose che, come precisa Jung poco oltre, "è la capacità di dominare questo mondo e l'affermarsi della vostra anima in questo mondo" (Ibidem, p.40).

Nell'opera della maturità, Al di là del bene e del male, ancora Friedrich Nietzsche mette in guardia rispetto ai rischi legati alla "rinuncia al proprio io e lo spersonalizzarsi dello spirito" (p.110- n.207). Tra questi sostenitori della spersonalizzazione rientra la categoria dei metafisici che hanno dimenticato la propria origine di uomini e, quindi, naturale.

Abbiamo già visto che la scienza allontana il pensiero che l'uomo abbia una qualche origine metafisica. Occorre "far sì che d'ora innanzi l'uomo si pianti dinanzi all'uomo, come già oggi sta facendo, indurito nella disciplina della scienza, si aderga dinanzi all'altra natura, con gli occhi impavidi di Edipo e con le orecchie sigillate di Odisseo, sordo alle musiche adescatrici dei vecchi uccellatori metafisici, che con voce flautata gli hanno sussurrato anche troppo a lungo: 'Tu sei di più! Tu sei più in alto! Diversa è la tua origine!" (Al di là del bene e del male, pp.141-142, n.230).

Per Nietzsche occorre sempre esercitare la "volontà fondamentale dello spirito" che non è altro se non "volontà di conoscenza":

Si consideri, infine, che anche l'uomo della conoscenza, allorché costringe la sua mente a conoscere in contrasto con l'inclinazione della mente e abbastanza di frequente anche contro i desideri del suo cuore - cioè a pronunciare un no, laddove vorrebbe affermare, amare, adorare -, esercita il suo potere come artista e come trasfiguratore della crudeltà; già ogni prendere le cose in profondità e alle radici è un atto di violenza, una volontà di far soffrire diretti contro quel fondamentale volere dello spirito che mira incessantemente all'apparenza e alla superficie - già in ogni volontà di conoscenza c'è una goccia di crudeltà.

(Al di là del bene e del male, n.229, p.139)

L'uomo della gaia scienza afferma la propria volontà, il proprio consenso o dissenso alle cose, e non si limita ad un loro passivo assorbimento, tipico dell'uomo "oggettivo". Al tempo stesso si tratta di una conoscenza superiore rispetto a quella di quel volgo che per signoreggiare sulla realtà e sentirsi padrone "possiede la volontà di ridurre il molteplice ad unità" - ignorando così la complessità e la contraddittorietà dell'Essere -, oppure di chi si rifugia deliberatamente nell'ignoranza delle cose per semplice vigliaccheria: "un non lasciarsi avvicinare, una sorta di condizione difensiva contro quel molto che può essere conosciuto" (pp.139-140, n.230).

Continuiamo a soffermarci sul concetto di "volontà della conoscenza" ed il suo carattere fondamentale legato alla possibilità di deliberare un sì oppure un no rispetto all'Essere considerato nella sua multiformità.

Nietzsche ci ricorda che dobbiamo signoreggiare, imporre la nostra volontà sulle cose, sull'Essere, se non vogliamo diventare un strumento nelle mani del mondo. In questo senso, l'Io o principio di individuazione ma, per Nietzsche, anche fulcro della volontà/personalità, si rivela indispensabile.

La spersonalizzazione dell'uomo oggettivo, obiettivo, deriva dal fatto che egli è "uno specchio; abituato soprattutto a sottomettersi a quel che vuole essere conosciuto, senza alcun altro piacere rispetto a quello che gli procura il conoscere, il 'rispecchiare" (p.110, n.207):

L'uomo obiettivo è uno strumento, uno strumento di misura e uno specchio artisticamente lavorato, prezioso, delicato e facilmente offuscabile, che si deve trattare con cura e con ogni onore; ma non è una meta, un risultato e un'ascesa, un uomo complementare, in cui si giustifica la restante esistenza, un epilogo - e ancor meno un cominciamento, una generazione e una causa prima, non è nulla di compatto, di possente, di riposante sopra se medesimo, che voglia signoreggiare: è piuttosto soltanto un vaso dalle forme delicatamente soffiate, sottili e volubili, il quale deve soprattutto attendere una qualche specie di contenuto per prender "forma" secondo quest'ultimo - egli è di solito un uomo senza alcun contenuto di nessuna sorta, un uomo "senza se stesso" (Ibidem, p.112, n.207). 

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