Burocrazia, sindacati e ambientalisti paralizzano la vita del paese

07.10.2020

L'EDITORIALE

Di Alessandro Cantoni 

Avete presente quel discorso, profetico, di Gordon Gekko sull'avidità? Ecco, è proprio da qui che dobbiamo partire. Il nostro è un paese fondato non sul lavoro, ma sulla burocrazia. Quei burocrati che generalmente non investono in quella grande società chiamata Italia.

Volete aprire un'attività? Vi servono dei permessi o delle pratiche urgenti? Prima dovete attendere milioni di controlli che probabilmente vi avranno già scoraggiato, inducendovi alla rassegnazione.

Il problema della burocrazia italica è che essa sembra studiata ad hoc per ostacolare chi fa impresa e manifesta un briciolo di iniziativa.

L'avidità è ciò che spinge a rischiare, a osare. È ciò che muove all'azione concreta e inibisce nell'individuo quell'istinto ad investire che alimenta l'economia e genera prosperità. La burocrazia, al contrario, sembra vivere di rendita. È il regno della mediocritas, tutt'altro che aurea, per dirla con Orazio. Non richiede, in molti casi, particolari qualità intellettuali o abilità concrete. La burocrazia non può che essere, in questo senso, ideologica, essendo nata per remare contro qualcuno: gli "azionisti" della grande compagnia di bandiera, chiamata Italia.

Non solo i burocrati, ma anche i sindacati e i Verdi rientrano nelle categorie affette da presbiopia. Perché? Poiché sono ideologici. Essi dicono: "io sono per i lavoratori"; gli altri: "io sono per lo Stato", dove lo Stato entra per lo più in conflitto con la libera iniziativa dei cittadini; oppure: "io sono per l'ambiente". Questo modo di ragionare è nemico della comprensione, del compromesso e del realismo. Non importa se i lavoratori hanno torto, oppure occorre stipulare un accordo che riduca un'inutile zavorra fiscale per chi gestisce la baracca; l'importante è andare addosso al "padrone". Non conta se l'azione dello Stato frena la ricostruzione de L'Aquila, delle Marche o dell'Umbria (a Nocera ci sono ancora i resti del terremoto del 1997!): l'importante è perseverare nel proprio "lavoro" impiegatizio e automatizzato. Chi se ne frega se a farne le spese sono milioni di persone. Infine, vengo ai vetero-ambientalisti: "dobbiamo smetterla di dragare i fiumi". Certo, così alla prima alluvione le acque travolgono ogni cosa con la loro furia.

Sia chiaro, non intendo sminuire i singoli che fanno parte di queste categorie. Esse potrebbero rivelarsi molto utili e fungere da contrappeso a certi interessi speculativi. Tuttavia, ci sono molte mansioni, in questi rami, che sono non soltanto onerose, ma addirittura nocive alla salute della democrazia. Secondo il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre, intervistato da Milano Finanza, il costo della burocrazia in Italia è pari a circa 100 miliardi di euro all'anno, di cui 57,2 dovuti al costo "che incombe sul nostro sistema produttivo per la gestione dei rapporti con la PA". Il restante, tiene conto dei "mancati pagamenti da parte dello Stato centrale e delle Autonomie locali nei confronti dei propri fornitori". Ma perché la PA è così inefficiente? Le ragioni vanno ricercate nella storia.

In seguito all'unità d'Italia, a fronte di tre diversi modelli di statuto burocratico (quello piemontese, quello asburgico e quello borbonico), l'Italia scelse quello borbonico, dove l'attività del sovrano era perciò vincolata a tutta una serie di ceti e di corporazioni quali nobiltà, clero e baronato. A smontare questo meccanismo ci aveva provato, vanamente, Caracciolo. Londra, rappresentata dal generale William Bentinck, nel 1812 provò a porre rimedio alla situazione di caos in Sicilia, riproponendo il modello istituzionale inglese. Ma in ciò si sbagliò, poiché quello palermitano era un parlamento fondato sui privilegi feudali, che il governo borbonico non aveva provveduto ad eliminare. 

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