
Che bello se Marco Pannella risorgesse


Di Alessandro Cantoni
In occasione dei novant'anni che avrebbe compiuto oggi Marco Pannella, storico leader del Partito radicale, uomo laico e liberale, difensore dei diritti civili in un'Italia ancora patriarcale e ortodossamente legata alla Cupola di San Pietro, riproponiamo questo articolo di Alessandro Cantoni apparso su Libero Quotidiano il 26 novembre 2019.
L'attaccamento alla vita è viscerale, inestinguibile. Persino nei momenti in cui tutto sembra perduto, un bagliore illumina i nostri cuori e la nostra mente offuscata. L'ho imparato da mio nonno. Reduce da un campo di lavoro in Austria, riuscì a fuggire, provato dalla fame, dai dolori, e ormai ridotto a pelle e ossa. Questa sensazione me l'ha trasfusa chi ha passato molto più tempo in sala operatoria che qui fuori, nel mondo reale, degli affetti e delle insidie, ma pur sempre casa nostra. Da costoro comprendi quanto siano trascurabili le tue sofferenze. Non crediate che quando un uomo si arrende a sé stesso, alla vita, lo faccia a cuor leggero. Talvolta capita, poiché viviamo nell'epoca della banalità della morte. Dove sfidare il destino è diventato un gioco, un passatempo per migliaia di adolescenti che non sanno amare loro stessi, figuriamoci gli altri. Questi tempi mi affliggono, perciò noi tutti abbiamo il dovere di educare alla vita, al rispetto. La nostra società ha però il bisogno di guardare avanti, di battersi per ciò in cui crede. A questo serve la politica: a saper cogliere le sfide del presente e del futuro. Una di queste è la legge sul fine vita, che attende di essere approvata in Parlamento.
IL PARTITO RADICALE
Un tempo esisteva un piccolo partito, che non cercava visibilità, ma raccoglieva le anime più liberali della destra e della sinistra, indifferentemente. Questo organismo si chiamava Partito radicale. Nella società degli anni Settanta, non costituì un orpello. Pannella si rivelò un visionario, all'avanguardia, sebbene fosse cresciuto in un'epoca in cui vigeva il mantra «credere, obbedire, combattere», o forse proprio per quello. Molti si rivelarono stanchi di decenni di ipocrisia, di insensata obbedienza, di tabù e di dogmi. In una parola, del patriarcato. I nostri gretini hanno un bel dimenarsi per i diritti delle donne, dei gay, ecc.
IL PESO DELLA DECISIONE
Essi giungono in ritardo, a lavoro già compiuto. Non sanno approfittare delle libertà che sono state donate loro. Anzi, non sanno proprio che cosa farsene. A quei tempi, tuttavia, germinarono le lotte che segnarono una svolta per il paese. Non scaturirono dalla noia, dalla frustrazione da sublimare in qualche cosa, o dal desiderio di «liberarsi a cazzo», come scriveva Gaber. Uscire dall'impasse rimaneva il più nobile obiettivo, se si voleva preservare un minimo di dignità. L'Italia degli anni Settanta era quella della fedeltà incondizionata al marito, del bigottismo, del delitto d'onore. Ecco perché in tanti scesero in campo per «muovere le acque di uno stagno senza vita». Senza alcuna leggerezza, ma con tutto il peso della coscienza che li travolgeva, specialmente quando si affrontavano tematiche legate alla vita, propria o altrui. Scese in campo anche Oriana Fallaci. La sua scelta fu netta, decisa, ma pensata. Allora, due dei cavalli di battaglia erano il divorzio e l'aborto. Sappiamo quanto sofferta fosse la sua adesione a questo proposito. Nel 1975 veniva dato alle stampe il suo Lettera a un bambino mai nato, nel quale esprimeva tutto il patimento per la perdita di una creatura allevata in grembo. È una parte di noi che se ne va, diceva Oriana. Quando c'è di mezzo la vita, non si scherza. Non è ammesso parlare con leggerezza di una questione tanto delicata. Non è tollerabile la strumentalizzazione, la polemica sterile e isterica di una certa opinione pubblica sessantottina. Oriana dichiarò che, innanzitutto, «l'aborto non è un gioco politico», fatto di do ut des. E, secondo punto, andava ribadito che «a restare incinte siamo noi donne. A partorire siamo noi donne. A morire partorendo, abortendo, o non abortendo, siamo noi donne. E la scelta dunque tocca a noi». Ai compagni disubbidienti con la rosa in pugno ci credeva, come ci hanno creduto in molti. Era sul palco quel 17 luglio, mentre urlava alla platea che combattere con una rosa in pugno è un atto di coraggio. Pannella era un provocatore, ma lucidissimo e saggio. Penso che a un certo punto il messaggio dei radicali abbia travalicato i limiti della ragione, ma del resto era nella sua natura ribelle e scapigliata. Perciò inevitabile. L'ala più a sinistra ha avuto il sopravvento, poiché non ha saputo munirsi di freni inibitori. Nonostante io stesso abbia sostenuto il movimento di Pannella, credo che molte campagne politiche lanciate dopo gli anni Settanta non abbiano senso.
LEGGE SUL FINE VITA
Una, però, merita riguardo e una discussione seria ancora oggi. Quella sul fine vita. Credo sia un gesto audace e coraggioso quello di approvare, finalmente, una legge, sebbene vadano posti dei limiti netti, affinché non diventi una pratica consueta o uno strumento di mortificazione. Credo che si possa essere radicali in maniera laica, ma allo stesso tempo senza perdere di vista i pilastri dell'umanesimo. Umanesimo come esaltazione del valore e della dignità umana. L'esempio di Fallaci, in questo caso, si rivela edificante. Del resto, era una donna controcorrente, lei. Sapeva rimanere sé stessa, senza cedere al fanatismo o all'ideologismo. Era la sua mente a dover dominare ogni processo; non il contrario. Dopo indicibili sofferenze patite a causa del suo cancro, volle morire naturalmente, senza ricorrere ad alcuna pratica artificiale. Credo sia questo l'insegnamento più grande. Lottare perché ogni singola persona possa scegliere, ragionevolmente, di volta in volta, non implica una concessione alla cultura della morte o della banalità. Bisogna sempre tenere a mente che qualunque scelta procura il suo carico di sofferenze. Oriana, nonostante tutto, ha scelto la vita. Ha scelto l'amore, battendosi in nome di tutti. Non ha voluto che la si spedisse al creatore. Ha aspettato con pazienza, non volendo abdicare a quel che più di tutto desiderava: la vita. Oriana si è spenta sussurrando queste parole: «No, io voglio continuare a guardare dalla finestra il campanile di Giotto».