
Crisi energetica: quanto pesa l’Unione Europea sui rincari italiani
Di Alessandro Cantoni
Da diverse settimane, stiamo assistendo ad una escalation di attacchi e di provocazioni tra Russia, Unione Europea, Stati Uniti e Ucraina.
Non entrerò nel merito della diatriba ideologica "Russia vs Stati Uniti", anche se mi pare piuttosto ragionevole che Putin voglia tutelare i propri interessi nazionali evitando l'installazione di basi Nato su un territorio confinante. Ciò detto, è evidente che il recente attacco alla capitale, Kiev, va condannato e biasimato, in quanto lesivo dell'indipendenza di uno Stato autonomo alle prese con i suoi problemi (il Donbass, appunto).
Tuttavia, Biden si è comportato in modo alquanto insolente, e parimenti l'Unione Europea, che gioca con il futuro dei suoi paesi membri, a cominciare dal nostro. Non dimentichiamo, infatti, che l'Italia importa circa il 40% del proprio gas dalla Russia.
Si fa presto a dire: sfruttiamo le nostre risorse nazionali. Qui abbiamo un doppio problema: primo, quello di un paese che ha detto no alle trivelle e all'energia nucleare; in secondo luogo, l'Unione Europea ha puntato il dito contro i nostri gasdotti, in quanto non rispetterebbero i parametri di emissioni inquinanti previsti dal Green Deal. In altre parole, siamo doppiamente schiavi: della nostra imbecillità e di accordi europei che potrebbero avere serie ripercussioni sui cittadini e sulle imprese italiane.
Pensiamo a che cos'era l'Eni di Enrico Mattei e proviamo a domandarci se una strategia simile sia perseguibile, oggi. Formalmente, l'Unione Europea non controlla o gestisce i rapporti energetici a nome di tutti gli Stati. Praticamente, però, se fossimo una nazione indipendente, saremmo più liberi di stipulare accordi vantaggiosi con le altre realtà del mondo, perseguendo una linea politica più autonoma (i famosi rapporti bilaterali), come ai tempi di Mattei, anche in merito all'approvvigionamento di gas dalla Russia. In linea di principio, non sono previsti ostacoli nei rapporti bilaterali con i paesi fornitori di energia, ma restano le severe politiche europee legate alle clausole ambientali, le quali frenano la produzione nazionale e incidono pesantemente sui costi delle materie prime. Infine, volenti o nolenti, siamo di fatto sempre più dipendenti dalle scelte di Bruxelles per quanto concerne i rapporti con Putin e, in generale, con gli Stati extra-Ue, anche in materia energetica. Le scelte dell'Ue, infatti, si ripercuotono sui singoli Stati nazionali nel momento in cui vengono imposte delle sanzioni. Potremmo pagarne un prezzo salatissimo.
Molte responsabilità, insomma, ricadono sulla nostra classe politica e non solo sull'Europa.
Per concludere, vorrei rilanciare un tema importante: quello delle partecipazioni statali alle compagnie petrolifere e del compartimento energetico.
Attualmente, l'ENI è al 30% di proprietà statale, ma il peso
di tale azionariato non è sufficiente a garantire una giusta velocità negli
investimenti e, soprattutto, limita lo Stato ad una responsabilità ristretta,
generica, inerente le modalità operative di energia e idrocarburi in Italia.