Difendiamo la Cultura di provincia dalla massificazione urbanistica

26.02.2023

Di Alessandro Cantoni

Migliaia di giovani fuggono dai luoghi natii, rinunciano alle proprie radici per gettarsi in pasto alle grandi metropoli europee in cerca di stimoli ed opportunità di studio, lavorative o sociali.

Costoro ricordano molto la figura di Tantalo, punito dagli dèi per aver osato troppo e condannato ad avere una fame ed una sete senza fine.

Le province vengono considerate periferie culturali, se non addirittura sottoprodotti della civiltà. L'idea dominante di civiltà, oggi, coincide con quella di progresso e di illuminismo. In tale prospettiva, le città sono i luoghi in cui si manifesta lo "spirito del tempo", mentre le province apparterrebbero ad un passato anacronistico e destoricizzato.

Possiamo essere certi, tuttavia, che la cultura delle grandi città rappresenti un'adeguata alternativa a quella provinciale? Io sto decisamente dalla parte della seconda, e vorrei spiegare perché.

Cominciamo dalla forma mentis progressista: il senso di superiorità deriva da una concezione cosmopolitica e astrattamente umanitarista. Se però analizziamo a fondo questo progressismo delle grandi città, scopriamo che, molto spesso, si tratta di un progressismo di maniera: astratto, proprio perché fondato su concezioni illuministiche, vale a dire intellettuali e speculative.

Ciò che predomina, in realtà, è la freddezza di teorie che raramente vengono messe in pratica dagli stessi progressisti. Il senso di umanità e quello di tolleranza non sono acquisizioni intellettuali, bensì disposizioni sentimentali che difficilmente possono trovare il proprio fermento in un ambiente caotico, dove prevalgono la confusione e la frenesia di una vita dispersiva.

Natura magistra vitae! La natura è maestra di vita, come sapeva Rousseau. Soltanto un ambiente ameno e ordinato, il cui profilo è costituito da linee e da forme sorrette da un qualche fondamento estetico, alimenta il nostro culto verso la bellezza, da cui germogliano le migliori inclinazioni etiche e morali nell'essere umano.

Credo sia dunque ingiustificato il preconcetto per il quale la città è migliore della provincia in virtù della maggiore "apertura mentale"; facciamo bene attenzione a non confondere la riservatezza dei valligiani o dei provinciali con la chiusura mentale: quest'ultima appartiene molto più ai cittadini, inclini al disprezzo o all'indifferenza.

In secondo luogo, è importante sottolineare i pericoli intrinseci alla perdita di identità profetizzata dalla cultura mondialista. Presso gli ambienti accademici e salottieri è in voga un incitamento a rinunciare alle proprie radici, persino alla propria "volontà", per fare spazio ad una visione del mondo maggiormente inclusiva e per essere più accoglienti nei confronti degli altri.

Il risultato, in realtà, è soltanto la confusione di chi non è in grado di riconoscersi come IO fondante, come soggetto autonomo, padrone di sé. Non potendo fare a meno di essere degli individui, ci si sente a disagio nel proprio corpo e nella propria mente. Il vuoto prende vita dentro di noi: non si sa più da dove si viene, dove si va; si infrange il primo comandamento della filosofia: conosci te stesso. E, ovviamente, per conoscere se stessi è indispensabile edificare una propria identità personale. Pertanto è impossibile fare a meno del confronto con il passato, in generale con la storia di se stessi e del mondo. Per i progressisti, al contrario, l'individuo è una banale "entità" priva di essere, soggetta alle sole leggi del divenire: non serve un confronto con il passato, perché il solo valore in cui credere è il radioso futuro.

Non sembra, tuttavia, che questo modello di vita renda più felici o migliori gli abitanti delle grandi città. Il futuro, e quindi il progresso nichilista, coincide con uno stile di vita incline alla dispersione, alla conquista di uno status sociale di indipendenza economica e di gretto consumismo. Il progresso è l'illusione di un sogno americano e di mero libertinismo. Peccato che il capitalismo non sia, in realtà, affatto democratico, e che le masse, per stare a galla, siano costrette a fare i salti mortali e sacrificare se stessi e gli altri in funzione di un guadagno precario. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: isteria collettiva, spaesamento, abiezione morale o cinismo, cattivo rapporto con se stessi e con gli altri. E' questa la società che vogliamo? E' questa la cultura delle metropoli?

Al contrario, direi che la provincia è l'ambiente più adatto a forgiare il carattere e quindi la personalità, l'individualità di un uomo.

Si può essere provinciali e rimanere, al pari dei cittadini, chiusi mentalmente e spiritualmente: questo è evidente. Tuttavia, se si sanno cogliere gli insegnamenti che derivano da questo luogo, è possibile raggiungere una statura morale superiore a quella delle città metropolitane e produrre risultati - in termini artistici, scientifici, umanistici, ecc. - di grandissima rilevanza intellettuale.    

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