Diritto sociale non è diritto all'eguaglianza

22.08.2022

Di Alessandro Cantoni

In questa travagliata campagna elettorale, ci si interroga sulla giustizia sociale. Un tema appassionante, che interessa il mondo della destra e della sinistra. Tuttavia, vi sono posizioni divergenti sullo stesso tema. 

Il mondo liberal ragiona in termini di "redistribuzione della ricchezza". Ma ciò, sostiene il filosofo Roger Scruton in Essere conservatore, non è in linea con una concezione liberale. 

Questo modo di intendere il ruolo dello Stato nella soluzione dei conflitti sociali parte da una premessa sbagliata, ossia il fatto che la giustizia sociale venga a coincidere con l'eguaglianza: 

"Il risultato di questo atteggiamento è stato l'emergere nella politica moderna di una nozione di giustizia del tutto insolita, che ha poco o nulla a che fare con il diritto, il merito, la remunerazione o la punizione e che è di fatto slegata dall'agire e dalla responsabilità degli individui" (Roger Scruton).

In altri termini, lo Stato si sostituisce al singolo, che invece dovrebbe sempre essere all'origine di una qualche azione da cui deriva una determinata conseguenza. In questo caso, si potrebbe dire, la sua promozione sociale. 

Il beneficiato è a tutti gli effetti un privilegiato, che gode di un diritto concesso arbitrariamente.  

Inoltre, come leggiamo sempre nel saggio "la verità nel socialismo": 

"L'idea che la ricchezza viene al mondo già segnata da diritti di proprietà, che possono essere cancellati solo violando i diritti degli individui, è un'idea che non ha cittadinanza nel mondo liberal" (Roger Scruton).

In altri termini, la ricchezza accumulata non è mai mia, secondo i liberal-socialisti, bensì patrimonio comune dello Stato.  Ma tale logica è completamente in conflitto con un principio liberale fondamentale. 

Che cos'è, allora, la giustizia? Per capirlo, occorre distinguere tale concetto da quello di "carità":

"Il concetto di giustizia è mediato da quello di diritto e da quello di merito: il dovere della giustizia è esplicitamente indirizzato all'altro e tiene conto dei suoi diritti, dei suoi meriti e della validità delle sue pretese" (Roger Scruton).

I doveri, secondo i liberal, sono doveri di giustizia, in cui la sola base di tali pretese è il bisogno. 

La soluzione è dunque quella di lasciare in auge tutte le diseguaglianze? Certamente no. Però non è richiamandosi al concetto di giustizia sociale che si possono risolvere. Se così fosse, lo Stato sarebbe obbligato a mettere in campo dei fondi pubblici o a tassare le fasce di reddito più abbienti rispetto a quelle maggiormente povere, per sanare i conflitti. Ma una simile prospettiva non rientra nelle prerogative di uno Stato liberale, bensì socialista. Le pretese dei liberal sono dunque infondate. 

Scavando ancor più a fondo, Scruton ci dice qual è l'atteggiamento alla base di questa concezione illiberale della giustizia: il rancore. Chi è più ricco è sempre colpevole; lo è diventato a scapito di qualcun altro: 

"A un certo tipo di mentalità egualitaristica non importa che Jack abbia lavorato per arricchirsi e Jill invece abbia giaciuto intenzionalmente nell'ozio: non importa che Jack abbia talento ed energia, mentre Jill non ha nessuno dei due; non importa che Jack meriti quello che ha, mentre Jill non merita niente: l'unica domanda importante è quella relativa alla classe e alle diseguaglianze "sociali" che ne derivano. Concetti come diritto e merito cadono fuori dal quadro e solo l'uguaglianza vale a determinare l'obiettivo" (Roger Scruton)

Del resto, i rapporti economici sono rapporti consensuali: non arbitrari. Ciononostante, il liberal non accetta che i ruoli assegnati a ciascuno dipendano da una realtà di fatto, dalla nostra responsabilità individuale, bensì credono che "il successo dell'altro è la causa del proprio insuccesso". Anche questo ragionamento non è affatto liberale ed è tutto da dimostrare: 

"Se i ricchi diventano più ricchi in un momento in cui i poveri sono sempre più poveri, non ne consegue che le perdite dei poveri siano trasferite ai ricchi come utili. A meno che non facciamo della causalità una istituzione, qui non possiamo essere sicuri che una politica volta a equiparare ricchi e poveri a lungo torni a vantaggio di ognuno". (Roger Scruton) 

Per concludere, certe disuguaglianze di base esistono. Lo Stato può intervenire per colmarle attraverso il welfare system, ma quest'ultimo dovrebbe essere considerato uno strumento di emergenza, non irreversibile. E soprattutto non può essere legittimato, da un punto di vista liberale, come un dovere dello Stato nei confronti dei cittadini. E' caso mai un principio di carità, da applicare con molta attenzione.  

Le diseguaglianze sociali vanno appianate, per quanto possibile, ma farlo in modo totale non è giusto, oltre che impossibile. Una soluzione viene proposta sempre da Scruton: 

"I ricchi possono fare beneficienza, dedicare una parte delle loro risorse ad aiutare gli altri e, in generale, mostrare una buona dose di simpatia per quelli meno fortunati di loro. In particolare, possono creare imprese che offrano posti di lavoro e diano così modo agli altri di partecipare al loro successo. Questo di solito è quanto avvenuto in America ed è uno dei motivi per cui, a mia esperienza, gli americani, anche quelli sfavoriti dalla sorte, sono lieti della fortuna altrui, perché credono che, in qualche modo, potrebbero avervi parte". (Roger Scruton).  




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