Discorsi duplici sulla serietà

Di Alessandro Cantoni
Chi vi ha detto che la serietà sia, di per sé, un valore? Insomma, guardiamoci intorno. Vediamo un signore vestito di tutto punto e subito esclamiamo: "quella sì che è una persona seria!". Di casi simili potremmo raccontarne a bizzeffe.
Io, invece, per istinto - una cosa a pelle, eh, non fraintendete! - ho sempre diffidato di chi vanta, come prima qualità, la propria manifesta serietà. Mi vien voglia di urlare, insieme a Pasolini: "La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo!".
Tra tutte le maschere in esposizione, nel carnevale quotidiano, tutti fanno a gara per accaparrarsela. A ben guardarla è proprio brutta, ma fa lo stesso. A nessuno piace passare per un ridicolo Pantagruel. Come riconoscerlo, nel mondo di oggi, l'uomo "serio"? Per certi aspetti, ricorda molto quell'ingenuo di Pangloss, convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili e, forse per questo, tendente ad un umanismo patetico.
Non vuole promiscuità con la plebaglia, che loda nei suoi discorsi, ma, sotto sotto, disprezza. Legge soltanto ciò che è "autorevole". Scorrendo nel suo abecedario, trovi spesso le parole "onestà", "giustizia", "accoglienza": paccottiglia di luoghi comuni che suonano bene.
Che fa, il nostro tipo, quando nessuno lo vede? Torna ad essere umano. Quell'umanità di cui, poco prima, si era pubblicamente vergognato.
La serietà è, per dirla con Gaber, un assurdo tentativo di "far finta di essere sani". La società ci vuole nei panni di persone affidabili, precise, colte, sicure di sé in ogni momento. Non è un caso che l'avvocato messo in scena da Pirandello nella Carriola faccia la figura del salame, di chi non è credibile, quando viene scoperto, nel suo studio, a giocare con una tenera cagnolina.
Nella storia, non si dovrebbe parlare soltanto di genealogia della morale, fenomenologia dello spirito, ecc. Si potrebbe scrivere una genealogia della serietà per renderci conto che, in questo secolo, siamo tornati a un clima di dogmatismo che non si può nemmeno definire religioso, come quello contro cui si scagliava Rabelais: "Leggendo, non vi scandalizzate: / Qui non si trova male né infezione.[...] Meglio è di risa che di pianti scrivere, / Ché rider soprattutto è cosa umana".
Pasolini, insieme a Pirandello, fu attento a denunciare gli effetti di un rigido, eccessivo inquadramento. In Salò o le 120 giornate di Sodoma, dentro alle stanze di un rispettabilissimo direttorio, i fascisti, tutori dell'ordine e della disciplina, mettono in scena le peggiori porcate, perversioni sadomasochistiche, risentimenti di odio e di vendetta che suscitano disagio nello spettatore.
Una certa ipocrisia si riscontra da sempre anche nella sfera culturale, tra i cosiddetti intellettuali. Costoro sono i chierici della parvenza di serietà. Al contrario di Mida, tutto ciò che toccano non diventa oro. Hanno uno sguardo pietrificante, simile a quello di Medusa. L'intellettualismo è l'attitudine che meglio si esprime in una tela di Kandinskij. Non riscontra nulla di interessante nella semplice, sublime poetica dell'Angelus di François Millet.
Se c'è un autore che ognuno dovrebbe tenere sempre sul comodino, quello è Michel de Montaigne. Apro i Saggi e leggo "voglio che la morte mi colga mentre pianto i miei cavoli, per niente preoccupato per lei e meno ancora del mio orto imperfetto".
Se riuscissimo a far nostre queste parole, potremmo persino accettare il fatto che il nostro mondo è, di volta in volta, lo spazio in cui possiamo riscoprirci "macchie o pennelli", direbbe Tesson. Scopriremmo con Rabelais che "rider soprattutto è cosa umana". Certe manie censorie del politicamente corretto nascono proprio da questo perverso intendimento della serietà. E allora ridi, che ti passa.