E' giusto celebrare il centenario del Partito Comunista Italiano

31.01.2021

Di Alessandro Cantoni

Non ho mai avuto alcuna simpatia per il comunismo, di cui non condivido né la visione culturale né la prassi politica. La prima è caratterizzata dalla lotta di classe, la seconda dal massimalismo, ovvero il totale sovvertimento delle istituzioni liberal-democratiche.

In Italia, esso è praticamente defunto, anche se sopravvive, in alcuni schieramenti, una mentalità comunista, caratterizzata da un odio smisurato per i "ricchi". Per i comunisti, sono sempre degli sfruttatori, ma dovrebbero ricordare che la ricchezza non è un'onta, bensì un valore, poiché proviene dall'ingegno e dal lavoro. I veri sfruttatori, semmai, sono i sostenitori di tale ideologia, arricchitisi in Parlamento senza aver prodotto alcunché di concreto per sé e per gli altri.

In questi giorni si discute del centenario del Partito comunista italiano, fondato a Livorno nel 1921. Premesso che la questione non mi appassiona, bisogna, tuttavia, fare un discorso culturale più ampio. Non voler riconoscere una dignità filosofica al comunismo italiano è da presuntuosi. Così come sono "partigiani" i nemici della cultura di destra. Personalità come Gentile, Evola, Bottai, vanno rispettate. Allo stesso modo, 

quando diciamo Pci, parliamo di un universo che fa riferimento a Terracini, Gramsci, Labriola. Umberto Terracini è stato persino presidente dell'Assemblea Costituente, contribuendo alla stesura della Costituzione.

Qualunque schieramento politico non ha potuto e non può fare a meno di confrontarsi con il marxismo, per confutarlo o per correggerlo. Persino la generazione liberale e sociale ha sentito il bisogno di confrontarsi con esso. Pensiamo ad esempio a Benedetto Croce, incalzato da Antonio Labriola, e Giovanni Gentile. Croce, in particolare, spurgò il marxismo della sua scientificità meccanicistica, riconoscendo tuttavia l'esattezza dell'analisi intorno ai legami tra economia e sovrastrutture o ideologie, cioè visioni del mondo, comportamenti sociali e privati, istituzioni, ecc. Togliendo ad esso il suo carattere deterministico, finalistico, veniva meno l'ossatura stessa del socialismo reale, ridotto così a semplice opzione morale. Quest'ultima conseguenza non poteva che avere conseguenze persino sul liberalismo crociano.

Ma la lettura di Marx data da Croce e da Gentile (che insisté molto sul marxismo come filosofia della prassi) influenzò profondamente il marxismo italiano, compreso Antonio Gramsci. Infatti, tale corrente, in Italia, non seguì mai il rigido determinismo scientifico, positivista, secondo cui la storia è la realizzazione di un disegno preordinato, mentre fu impregnato, appunto, di storicismo. A ciò si aggiungeva il pragmatismo, ovvero l'azione che il partito comunista doveva svolgere per mutare razionalmente il corso degli avvenimenti.

Dimenticare tutto ciò significa non comprendere i legami culturali che hanno tenuto insieme filoni intellettuali tanto diversi.

Concludo dicendo che Gramsci non è solamente patrimonio della sinistra, ma, nel corso del tempo, è diventato un importante punto di riferimento per altre aree politiche, contribuendo a sviluppare un'importante riflessione intorno ai temi della cultura popolare, del capitalismo e della figura dell'intellettuale nella società.

Riconoscere la dignità culturale non significa, ovviamente, sottovalutare le finalità politiche, che restano, naturalmente, quelle di ogni comunismo: dittatura del proletariato e sovvertimento dell'ordine democratico. 

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