Elogio dell'anarchismo intellettuale
Di Alessandro Cantoni
Quando un movimento politico, culturale, si identifica con il proprio capo, assistiamo alla morte dell'idea stessa. Avviene così che, anche di questi tempi, la paladina dei diritti umani e ambientali, Carola Rackete, sia stata fermata dalla polizia tedesca. Cade un falso mito. Da sempre, gli uomini tendono a proiettarsi in un leader. Dal Capitale, il marxismo si è incarnato nei vari Lenin, Stalin o Gorbaciov; la filosofia del fascismo si è svilita nel mussolinismo; la politica liberale ha finito anch'essa per identificarsi, di volta in volta, nei vari Berlusconi di tutto il mondo.
Bertolt Brecht esortava a lodare il dubbio, a dubitare delle guide, siano esse nella forma di tavole della legge, di santoni o di guru. Lo stesso Hegel, quando parlava della dialettica servo-padrone, si riferiva a qualcosa di molto concreto: se voi riuscirete ad essere autonomi, sarete sempre più liberi di chi vi comanda ed ha bisogno di voi per sussistere, come un eterno adolescente.
Armando Plebe la chiamava "filosofia della reazione", ma, per semplificare, si potrebbe benissimo definirla - come fece egli stesso - in termini di "anarchismo intellettuale". Plebe invita ad opporsi al radicalismo di chi è lapidario e sentenzioso, sia che si tratti dei cosiddetti conservatori, oppure dei progressisti.

GIUDA ISCARIOTA E TOMMASO
Gli apostoli di Gesù dubitano della loro guida quando a questi si nega la venuta del nuovo regno e la promessa pare sfumata. Essi non sanno più se credere ad Elia, a Giovanni, oppure al rabbi. Quando il Figlio chiese loro di vivere nel deserto, dove avrebbero vagato alla ricerca dello spirito e nell'attesa del nuovo regno, molte furono le obiezioni sollevate. Rinunciare alla carne per lo spirito sembrava loro un'azione troppo rischiosa e, forse, persino vana. Lo stesso Pietro, che segue Gesù nel giardino degli ulivi, viene da Gesù chiamato "uomo di poca fede". Gli apostoli si sono addormentati: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole".
Giuda Iscariota è, più di ogni altro, l'elemento re-azionario e critico. Non riesce più a credere in quel figlio dell'Altissimo che da re-guerriero ha trasformato la sua potenza nella penitenza di un docile agnellino, pronto a infiammare il cuore col calice della morte. Dio non può rinunciare al suo trono ed al dominio sulle cose terrene. Da qui il tradimento e la voltata di spalle all'autorità.
Tommaso è, parimenti, un apostolo del dubbio. Quando Cristo risorge, sente l'urgenza di affondare le dita nel costato del suo Signore. Senza quel gesto, gli sarebbe stato impossibile aderire alle parole pronunciate da Pietro.
I SOFISTI
Se gli scettici, nel panorama culturale greco, si sono guadagnati il titolo di "filosofi della reazione", essi cadono, nondimeno, in una profonda contraddizione., poiché pur negando la realtà, essi vorrebbero affermare una qualche verità.
I sofisti, al contrario, restano coerenti. Avversati da quasi tutti i razionalisti del loro tempo, vennero persino additati come mercenari e parolai. In realtà, ai dogmatici rodeva il fatto che costoro mettessero in discussione le loro credenze belle e fatte. I discorsi duplici sulla natura del bene e del male, del bello e del brutto, del giusto e dell'ingiusto, rappresentano il demone venuto ad irridere le favolette dei vari Parmenide che si credevano depositari di un sapere divino. Che cos'è il bene e cosa il male? Non lo sappiamo. E nemmeno possiamo determinarlo dialetticamente, come avrebbe pensato di fare quel lucido sognatore di Platone. Essi insegnarono, prima di tutto, che ogni uomo (non l'essere-uomo) è la misura di tutte le cose. Egli se ne sta ben radicato alla terra; non è il cielo che cala su di lui eterne verità. Ma i sofisti non furono soltanto anticipatori di quel "Crepuscolo degli idoli" annunciato da Friedrich Nietzsche. Furono anche maestri di logica, anteponendo molte delle scoperte fatte da Aristotele sul sillogismo, ovvero l'arte di argomentare deduttivamente.
Nella storia, i più grandi anarchici del pensiero sono stati gli schiavi ribelli alla Repubblica di Roma. Primo fra tutti Spartaco, già disertore dell'esercito e poi venduto a Lentulo come gladiatore. Del pari, gli ebrei hanno sempre lottato contro il "dominatore universale", incarnato di volta in volta dagli Egizi, dai Medi, dai persiani, dai Seleucidi o dai romani stessi.
In età contemporanea, sono però i kulaki ad aver
incarnato il simbolo di un'opposizione silenziosa, ma, proprio per questo,
ancor più forte. Con la loro morte silente, progettata dai burocrati del regime
sovietico, hanno riscattato la memoria di Cristo. Simili al popolo di Sion,
hanno simbolizzato il demone da immolare: l'anarchismo di chi non vuole cedere al
giogo imperiale e quello fondato nella tradizione, proprio dei kulaki.