I giovani di oggi sono come quelli di una volta ma più fragili

11.10.2020

Di Alessandro Cantoni 

Parlare dei giovanissimi senza scadere nella retorica non è facile, specialmente se a farlo è un giovane come me. Chiedo perciò scusa ai nostri lettori se durante la descrizione mi farò trascinare da una verve polemica eccessivamente moralistica. Non rientra nelle mie intenzioni.

Cominciamo col dire che la problematica non è affatto nuova. Da millenni ci si interroga sul futuro dei nostri figli. E da allora si ripete la stessa solfa, ovvero che essi sono indomiti, pigri e refrattari alle regole. Non si pensi affatto che nell'antica Grecia regnasse la virtù. Spesso si celano sentimenti molto più primitivi e per nulla nobili dietro magnanime gesta eroiche. Achille non ammazza Ettore e i troiani per amor di patria, ma per puro orgoglio personale; i crociati non andarono in Terrasanta perché "Deus vult", come diceva il papa, ma per ottenere qualche indulgenza o fare affari con l'Oriente. Del resto, siamo fatti di carne, e il desiderio di ottenere fasto e gloria in terram è più allettante di una promessa futura ed incerta.

Pensate che già nell'antica Babilonia, si rinveniva uno scritto molto curioso del 3000 a.C.: "Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore. I giovani sono maligni e pigri. Non saranno mai come la gioventù di una volta. Quelli di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura". Nel 2000 a.C. un sacerdote egiziano scriveva invece che "il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori: la fine del mondo non può essere lontana". Più di recente Socrate sosteneva, quasi parlasse dei ragazzi di oggi, che "la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell'autorità e non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni. Non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola sono cattivi". Mi fermo qui, anche se potrei continuare con Esiodo e compagnia. Insomma, abbiamo capito che i giudizi degli antichi non sono poi tanto diversi dai nostri.

Aveva certamente ragione Diogene il cinico quando dichiarava che "le fondamenta di ogni Stato sono l'istruzione dei giovani". Perciò i saggi si sono sempre preoccupati della loro educazione. Pensiamo a Platone ed al suo progetto nella Repubblica, su cui ci soffermeremo a breve, o allo scritto su Parmenide, in cui dipinge un Socrate ancora acerbo ed incapace di risolvere i dilemmi posti dal miracolato di Elea, a cui la dea Giustizia aveva rivelato il sapere universale. Soltanto nel cristianesimo e nell'ebraismo troviamo esempi di fanciulli virtuosi e persino più saggi dei vecchi. Ad esempio il piccolo Ioas, nominato re di Giuda tra l'837 e l'800 a.C. a soli 7 anni, declamato per la propria prematura saggezza e maturità; per non parlare, poi, dello stesso Gesù tra i Dottori, intenti ad ascoltare le parole di un bambino onnisciente.

Secondo Platone, al contrario, il giovane non poteva essere filosofo, poiché poteva conseguire la saggezza soltanto dopo anni di studi e di allenamento. Questa esercitazione non poteva che iniziare con la cura del corpo. A ciò servivano le discipline ginniche e militari: irrobustire le membra allo scopo di divenire padroni di sé stessi. In un secondo momento, aveva inizio la formazione scientifica vera e propria. In principio, ancora una volta, essa era fondata sulla realtà concreta (matematica, geometria, ecc.) per abituarsi a ricercare l'essenza delle cose negli enti sensibili: quella verità oggettiva che, un giorno, il filosofo avrebbe dovuto ricercare anche nelle entità intangibili, come i concetti astratti.

Per tornare al presente, direi che oggi la questione è ancor più complessa che in passato. Osservando i più giovani da vicino, si direbbe che in molti di essi predomini quello che Freud definiva "istinto di morte" dell'inconscio, ovvero l'incapacità di reagire a fronte del sadismo e dell'impulso masochistico che porta all'autodistruzione. In parte, tutto questo è dovuto ad una società che non sa accogliere i loro bisogni; in parte è responsabilità dei genitori, troppo assenti e disinteressati rispetto alla vita dei propri figli. Vi è ancora un elemento determinante in questa inclinazione psicologica: il benestare comune.

Viviamo in una civiltà indubbiamente più avanzata e progredita di un tempo, dove le comodità aumentano a dismisura. Se ciò è benefico, d'altro canto è anche negativo. Come insegnava Rousseau, e prima di lui già Catone e Cicerone, il lusso disabitua ad affrontare le asperità della vita, rammollisce e in un certo senso rende più deboli gli uomini. Da ciò scaturisce il sentimento di impotenza, la fragilità e la rassegnazione che affliggono molti ragazzi e ragazze. A tutti loro consiglio di guardare Men of honor, un film strepitoso che insegna a reagire, a combattere contro Thanatos in nome di un personale obiettivo di vita. Combatti, anche se hai tutti contro di te; anche se qualcuno o qualcosa cerca di fermarti. In fondo, come insegna la storia di Carl Brashear, primo marinaio afroamericano ad ottenere l'abilitazione di palombaro e, nel 1970, di Primo Capo, si può camminare in uno scafandro di 130 kg anche senza una gamba.

© 2024 La fucina delle idee. Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia