I prodromi del capitalismo nel pensiero orientale
Lotta del singolo per vincere; concentrazione mentale che sprona all'azione; autoperfezionamento ed inganno sono princìpi che incoraggiano l'individualismo e stimolano la competitività: nella vita come sul mercato.
Di Alessandro Cantoni
Le più fruttuose lezioni di capitalismo non ci sono giunte dall'America o dal cristianesimo, bensì dal lontano Oriente, in particolare dal temuto Dragone. La dottrina sociale cristiana è sempre stata, in materia economica, di matrice socialista. Basti pensare all'insistenza sui principi di uguaglianza, di assistenza o di carità.
Al contrario, le filosofie orientali come il buddhismo, lo scintoismo ed il taoismo si sono rese promotrici di culture guerriere e individualiste analoghe a quella sorte in Cina già nel VI-V secolo a.C.
È illuminante, in questo senso, L'arte della guerra del generale Sun Tzu, da cui ancora oggi traiamo ispirazione per la vita di ogni giorno.
Quando parliamo di individualismo, non dobbiamo confonderci con l'egoismo delle società occidentali neoliberiste. Gli orientali collocavano sé stessi all'interno della "polis", e quindi nella comunità. Ogni danno arrecato a quest'ultima comportava una grave sanzione sia morale che penale.
Anche nel cristianesimo ricorre una particolare attenzione verso l'individuo, ma in un'ottica più spirituale che economica. L'individuo assume qui personalità giuridica, uno statuto di inviolabilità e di sacralità.
Al contrario, nella prospettiva orientale, l'attenzione al sé è motivo di incitamento all'azione che si traduce in impresa eroica. Per dirla in altri termini, se il cristianesimo è liberale, le filosofie orientali applicate e parzialmente riadattate sono più liberiste. A dimostrazione di ciò, torniamo per un istante all'opera somma di Sun Tzu. Essa non consiste in un semplice trattato di strategia militare, ma in un insegnamento applicabile alle più disparate circostanze. Non da ultima quella economico-finanziaria. L'idea è che il singolo deve poter lottare per vincere. Deve gareggiare in coraggio, onore e virtù con i suoi avversari, deve studiarli ed ingannarli per scavalcarli e dominare la scena. L'io si eleva a guida di eserciti (reali o metaforici), a padrone del proprio destino.
Non è un caso, infatti, se questo manuale continua ad essere letto tra manager e direttori di impresa di tutto il mondo. Il taoismo valorizza la concentrazione mentale, che conduce alla pràxis anziché ad un astratto e sterile intellettualismo di matrice occidentale.
Allo stesso modo, il bushido, ovvero l'etica del samurai, coglie degli elementi fondamentali dal taoismo, dal confucianesimo e dal buddhismo; non da ultimo quello di onore, che secondo Miyamoto Musashi mantiene uno stretto legame con il senso di autoperfezionamento e di completa formazione culturale. In questo caso, tuttavia, la dipendenza al proprio shogun era incondizionata ed assoluta.
Particolarmente interessante mi sembra il caso cinese e l'attenzione posta da Sun Tzu sul concetto di lealtà. Quest'ultima è una nozione che domina soprattutto l'universo ideologico cristiano e che ha profondamente influenzato il modo di agire degli uomini in Europa, persino sul campo di battaglia. A tal riguardo, chiarificatrici sono le parole di Ernest Hemingway: "preferisco un nemico sincero a gran parte degli amici che ho conosciuto".
Le tattiche di
combattimento non ortodosse e l'assenza di fair
play vengono da noi biasimate molto più di quanto ciò non accadesse nella
Cina antica. Il taoismo insegna invece che i metodi di guerriglia non ortodossi
e quelli ortodossi sono tra di essi concomitanti, e che spesso sono i primi a
condurre alla vittoria. L'inganno è pertanto uno dei capisaldi del successo
personale e della competizione capitalistica.