Il bagliore perduto della politica
Ho davanti a me due vecchie fotografie ingiallite dal tempo. In una di esse rivedo il mezzobusto del segretario del Pci, Enrico Berlinguer; nell'altra riluce lo sguardo penetrante, vitreo e quasi di ghiaccio del temuto quanto ammirato avversario, Giorgio Almirante. Proprio dove molti scorgerebbero un'antitesi (com'è possibile accostare un comunista a un missino?), io non ne vedo alcuna. Forse perché non analizzo a partire da una lente ideologica, bensì riconosco in loro (così diversi) il tentativo di intraprendere una lunga battaglia in favore di una più equa giustizia sociale.
Rovistando tra i monumentali plichi di quotidiani, scovo tra le pagine di Repubblica una dichiarazione di Berlinguer fatta all'allora direttore Eugenio Scalfari.
Le sue parole suonano in questo modo: «i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente». Prosegue dicendo che essi, tali partiti, «gestiscono interessi (...) senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli». Soffermiamoci su queste righe e tentiamo un'analisi accurata.
Enrico Berlinguer indica con ciò il vuoto culturale nel quale sono precipitate le nostre istituzioni, a partire dal Parlamento. Incapaci di mediare il sentimento comune, essi hanno allontanato i cittadini dalla vita democratica e li hanno approssimati a quelle forze demagogiche, polarizzate contro l'establishment.
La ragione è semplice, ma in molti sembrano non essersi accorti che a mancare è soprattutto l'ascolto da parte delle istituzioni verso i propri cittadini, i quali costituiscono l'impalcatura, l'ossatura stessa della democrazia.
Oggi il regime democratico è più che mai in pericolo. Nel senso che la politica, per come siamo abituati ad intenderla, sta attraversando una fase di recessione, specialmente per quel che riguarda il crescente distacco e la delegittimazione degli organi di rappresentanza.
La politica ha smarrito il suo fondamento originario ed esistenziale, il quale dovrebbe consistere in un'inclinazione all'ascolto ed alla comprensione.
In Essere e Tempo, Martin Heidegger ci regala delle preziose asserzioni a proposito di questa attitudine originaria ed autentica dell'uomo. Egli sostiene infatti che «lo stare a sentire è l'aprimento esistenziale dell'Esserci in quanto con-essere all'altro. Il sentire costituisce addirittura l'apertura primaria e autentica dell'Esserci al suo poter-essere più proprio». Ciò sta a significare che l'uomo, tra le sue molte possibilità esistenziali, può scegliere di mettersi all'ascolto degli altri, dando vita ad un'esistenza autentica e fondata sulla comprensione. La voce dell'altro non è più un rumore confuso e vuoto, bensì si tratta della parola «dell'amico che ogni Esserci (uomo, N.d.A.) porta con sé».
Heidegger ci ricorda che il porsi in ascolto è pur sempre una possibilità, una scelta di grande importanza. Egli dice addirittura che è «esistenziale». Ma si può pur sempre scegliere di ignorarla, rompendo quel legame autentico con gli altri uomini.
Nel caso in esame, la cesura è avvenuta tra uomini di stato e cittadini, di cui si sono perdute la voce e le tracce.
La politica ha smarrito il suo fondamento originario ed esistenziale, il quale dovrebbe consistere in un'inclinazione all'ascolto ed alla comprensione"
Le forze democratiche e riformiste dovrebbero pertanto riflettere su questo passaggio. Non solamente su quanto detto da Heidegger, che forse a molti suonerà sinistro e poco di sinistra, ma anche sulle affermazioni dell'onorevole Enrico Berlinguer. Anziché ascoltare, questi schieramenti hanno preferito imporre la propria voce, non sapendo «tacere al momento opportuno». Di più, essi hanno schernito, deriso e sminuito la vox populi, declassificandola.
Dall'altro lato della barricata ci sono, come abbiamo ricordato, le forze che si sono poste all'ascolto dei problemi della società, ma che vorrebbero risolvere le crisi servendosi degli stessi strumenti del popolo ed abbandonandosi alle pulsioni emotive, irrazionali. Così viene tradita la causa primaria, «originaria», per riprendere la terminologia heideggeriana, della politica. Essa si fonda infatti sul calcolo e sull'intelletto. Richiede raziocinio e marcata capacità di analisi. Ogni politico che miri al bene comune dovrebbe essere perciò in possesso degli strumenti culturali, formativi, dei quali non sempre possono essere dotati i cittadini comuni. Tali analisi hanno da essere complesse, articolate secondo una visione d'insieme oggettiva e imparziale, la quale travalichi i sentimenti e sia in nome di una giustizia sociale.
Verrà il tempo in cui le viole sbocceranno anche in inverno. Sarà quello il giorno in cui la politica rimetterà in moto quel circolo ermeneutico basato sulla comprensione (alla quale si perviene attraverso l'ascolto) e l'interpretazione logica dei fatti. Una politica per i cittadini e con essi.