Il lavoro dei cattolici che salvò il paese dalla miseria


Di Nicolò Corradini
Nell'estate del 1943, quando la grande Storia stava per determinare la caduta del governo di Benito Mussolini con l'approvazione dell'ordine del giorno voluto da Dino Grandi (25 luglio), appena due giorni prima, nell'Ospizio di Camaldoli, si tenne un convegno di intellettuali cattolici, volto ad elaborare una valida sintesi della dottrina sociale cattolica che potesse servire per quando la guerra sarebbe finita. Fin dal gennaio 1943, la Sezione laureati dell'Azione Cattolica si era data l'obiettivo di formulare una rielaborazione e una riorganizzazione di tutto l'immenso corpus di encicliche, atti e documenti in materia sociale del pensiero della Chiesa. Il convegno fu motivato alle autorità fasciste come una "Settimana di teologia per laici" e si tenne nel mezzo dell'occupazione tedesca di Roma, cosa che causò non pochi disagi ai compilatori, impediti dai divieti e dai soprusi perpetrati dall'occupante nazista.
Sotto la guida di Sua Eccellenza il vescovo di Bergamo, monsignor Adriano Bernareggi, i lavori si svolsero con il contributo di nomi quali Lodovico Montini, Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni, mentre, particolarmente per il capitolo riguardante l'educazione, si vide l'intervento di Gesualdo Nosengo. Altri collaboratori di rilevo furono Giulio Andreotti, Giuseppe Capograssi, Guido Gonella, Giorgio La Pira e Paolo Emilio Taviani.
Il frutto di questo lavoro fu pubblicato nell'aprile 1945 sulla rivista degli studenti universitari di AC col titolo Per la comunità cristiana. Principi dell'ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli, mentre, tra le fonti che maggiormente ispirarono questo documento, fondamentali furono le encicliche Rerum novarum di papa Leone XIII (1891) e Quadragesimo anno di Pio XI (1931).
Il documento si apre con una Premessa sul fondamento spirituale della vita sociale, nel quadro di una visione ordinata del mondo, riflesso della perfezione con cui Dio lo ha creato. Il perfezionamento dell'uomo diviene perciò il fine ultimo della società, mentre lo scopo della vita è individuato, sulla scorta dei Padri della Chiesa, nel "conoscere e amare Dio e
quindi amare e conoscere la creazione di Dio e soprattutto gli altri esseri intelligenti e morali, compagni e fratelli nella stessa origine e nello stesso fine". Il Codice si struttura poi in sette capitoli: lo Stato, la famiglia, l'educazione, il lavoro, destinazione e proprietà dei beni materiali, l'attività economica pubblica, la vita internazionale.
Dal capitolo quarto, dunque, si esplica la proposta di riforma sociale elaborata dagli "amici di Camaldoli", in cui la famiglia è riconosciuta come il nucleo fondamentale di ogni comunità umana e, in questo senso, ogni aspetto della vita economica e dell'organizzazione istituzionale dovrà essere volto a sostenere i lavoratori in quanto capifamiglia. Erede di una secolare concezione che vede i grossi agglomerati come dispersivi e forieri di dissolutezza, il Codice prescrive degli incoraggiamenti alla piccola proprietà agricola, "essendo l'agricoltura l'ambito lavorativo nel quale maggiormente si armonizzano le esigenze tecniche ed economiche con le esigenze di realizzazione e di perfezionamento della persona umana". Riguardo ad altri punti più specifici, emerge, parallelamente ad un deciso e inesorabile anticomunismo, anche l'intento di fornire tutele sociali, coerentemente con una "terza via" di matrice cattolica, moderatrice degli eccessi del capitalismo ma ancor più avversa a livellamenti di tipo collettivistico.
Il Codice di Camaldoli sarà, dopo la guerra, una risorsa preziosissima per le politiche economiche e sociali della Democrazia Cristiana, che vi attingerà a piene mani per la riforma agraria del 1950 e per le riforme delle assicurazioni e delle politiche abitative sostenute da Amintore Fanfani.