Il liberalismo non è nemico dello Stato

09.04.2020

Bettino Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia tra il 1861 ed il 1862 e, di nuovo, tra il 1866 ed il 1867 

Marco Minghetti, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia dal 1863 al 1864 e dal 1873 al 1876

Di Alessandro Cantoni 

Molto spesso, la destra liberale viene designata come nemica dello Stato, paladina dell'ideologia neoliberista. A provare la falsità di questa supposizione non c'è soltanto la dottrina liberale classica. I fatti storici stessi contribuiscono a smontare tale menzogna. Se pensiamo, ad esempio, alla storia dell'Unità d'Italia, ci viene subito in mente che il progetto di estendere il ruolo e la presenza dello Stato sul territorio nazionale fu prerogativa della Destra storica, liberale e conservatrice. Da Ricasoli fino al 1876, anno della svolta politica, "dall'Alpi a Sicilia" furono promulgati gli ordinamenti dello Stato sabaudo, le leggi, e si mirò ad un insediamento delle istituzioni nei diversi territori tramite la nomina dei prefetti. Un progetto che sarebbe proseguito per un quindicennio, fino alla richiesta di nazionalizzare le ferrovie, presentata dal liberale Minghetti e bocciata dalla Sinistra storica.

La sinistra, al contrario, chiese, e di fatto ottenne, dopo l'ascesa al potere di Agostino Depretis, una maggiore autonomia da parte dei comuni, e quindi un indebolimento dell'influenza esercitata dallo Stato centrale sul territorio.

Da un punto di vista teorico, il liberalismo non chiede soltanto di tutelare il diritto alla vita, ma di difendere strenuamente tutte le libertà positive e negative. Scrive infatti John Locke nel Secondo trattato sul governo: "la libertà degli uomini sotto un governo consiste [...] nella libertà di seguire la mia propria volontà in tutto ciò in cui la norma non dà precetti, senza esser soggetto alla volontà incostante, incerta, sconosciuta e arbitraria di un altro".

Sul piano economico, inoltre, c'è una differenza sostanziale tra il liberismo ed il neoliberismo. Quest'ultimo, infatti, è un prodotto della globalizzazione avvenuta negli anni Novanta e profetizza una prevaricazione incondizionata da parte del mercato sulla politica. Al contrario, il liberalismo classico non rifiuta l'intervento dello Stato, ma cerca di limitarne al massimo la sua ingerenza nell'economia.

Pertanto, lo Stato ha il dovere di coordinare l'attività economica di un Paese senza esserne il motore, rispettando la libera iniziativa ed il libero mercato. Secondo Smith, la stessa economia è collegata - almeno nel momento in cui veniva data alle stampe l'opera La ricchezza delle nazioni - alla prosperità della nazione. Il lavoro è "il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita". Tale approccio rivela una discrasia rispetto al nichilismo di matrice neoliberista, per cui sussiste una netta separazione tra profitto e ricchezza nazionale.  

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