Il senso tragico e il fascino del male
Di Alessandro Cantoni
Nell'età contemporanea è completamente svanito il senso tragico dell'esistenza. L'illusione di vivere in un'era progressista, avanzata dal punto di vista tecnico e scientifico, induce gli uomini a cercare sollievo e consolazione a buon mercato negli scaffali dei supermercati, nei centri commerciali e in altri divertimenti di massa.
Ci siamo così dimenticati che la vita è in sé brutale e violenta, e per quanto la ragione possa difendersi - ed è suo compito farlo -, non può tuttavia schivare i colpi della sorte.
I Greci avevano trovato un ottimo rimedio alla violenza. Hanno inventato un genere classico: la tragedia. In altre parole, hanno sublimato questa violenza, l'hanno tramutata in un genere artistico. Ma i Greci erano avvantaggiati rispetto a noi: non sapevano cos'era la coscienza morale cristiana. Quest'ultima ha reso brutto il male, gli ha sottratto il suo fascino. Corneille e Racine hanno tradito lo stile tragico perché erano dei moralisti. Alla luce del cristianesimo, lo spettatore si sente ferito dinanzi alle azioni turpi di altri esseri umani. E' chiamato a giudicare, a condannare.
Credo che ancora oggi la coscienza morale abbia troppa importanza nel giudicare i drammi e le tragedie dell'esistenza. Non cogliamo il lato artistico di esse, ovvero quella capacità di assistere senza essere toccati, di goderci lo spettacolo.
Spettatori-attori
Ma accade spesso che noi non siamo soltanto spettatori, ma anche attori delle nostre tragedie, come scriveva Oscar Wilde. Nel Ritratto di Dorian Gray, il protagonista, l'affascinante Dorian, arriva al punto di dire, dopo che Sybil Vane si è suicidata per l'amore negatole:
Non sono senza cuore. So di non esserlo; eppure devo ammettere che questa storia che è accaduta non mi colpisce come dovrebbe. Mi sembra semplicemente lo scioglimento di un meraviglioso dramma; c'è in essa tutta la bellezza terribile di una tragedia greca, una tragedia nella quale io ho avuto gran parte ma che non mi ha ferito.
Dorian intuisce la teatralità di questa esistenza, e nel teatro l'attore è anche spettatore, ossia colui che assiste dall'esterno alla propria opera.
Ma se le cose stanno così, come mai non riusciamo più a sentire le tragedie come i Greci? Perché assistiamo alla morte del senso tragico?
La risposta, credo, sta nella volgarità dei tempi in cui viviamo. Le nostre tragedie non hanno certo il fascino dell'Amleto. Come sostiene Lord Henry Wotton nel romanzo di Wilde:
Accade sovente che le vere tragedie della vita avvengono in modo così poco artistico che la loro violenza cruda, la loro assoluta incoerenza, la loro assoluta mancanza di significato, la loro totale assenza di stile ci urtano.
In altri termini, la vita borghese è spesso monotona, priva di vero eroismo e di slanci passionali: si lavora perché si deve lavorare; si va in cerca di piaceri banali e scontati in cui manca il fascino dell'avventura; si rinuncia ad avere qualunque idealismo.
In realtà, anche i drammi dei borghesi meritano, qualche volta, l'appellativo di "opera d'arte". Basti pensare ai racconti e alle pièces teatrali di Arthur Miller: da Morte di un commesso viaggiatore a La distilleria di trementina. Oppure all'opera di David Mamet Glengarry Glen Ross, trasposta cinematograficamente da James Foley nel film Americani del 1992.
In
ogni caso, anche se l'età contemporanea offre spunti per ottimi drammi e
tragedie, difficilmente riusciamo a dare a questi un significato a causa della
volgarità in cui siamo immischiati. L'età classica era ossessionata, ad
esempio, dal culto per il bello. Si
pensava addirittura ad una morte bella,
capace di imprimere un ricordo nei propri contemporanei e nella memoria dei
posteri. Chi, oggi, può dirsi disposto a
soffrire per un ideale, per una causa, per una persona? I soli drammi di
cui sentiamo parlare in televisione e nelle cronache giornalistiche sono
triviali, grossolani, indegni di considerazione artistica. Di fronte ad essi,
non possiamo provare altro che sdegno. Il cinema pop scade nella violenza gratuita,
nello splatter, nel kitsch. Dobbiamo tornare a leggere i capolavori della
letteratura, a guardare le opere d'arte (specialmente gotiche e romantiche), immergerci
nel cinema di qualità per recuperare quel gusto squisitamente artistico per il
dramma e per la tragedia. Dobbiamo essere eroi in un'epoca corrotta e
grossolana come la nostra per non farci travolgere dalla bassezza,
dall'insipienza di una vita mediocre in cui dramma e tragedia non significano nulla.