Il tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler
Di Alessandro Cantoni
Secondo Oswald Spengler, il tramonto dell'occidente è la morte della civiltà. Quando una civiltà muore, essa trapassa nel regno della cosiddetta "civilizzazione":
"Le civilizzazioni (…) rappresentano una fine, sono il divenuto che succede al divenire, la morte che segue alla vita, la fissità che segue all'evoluzione; vengono dopo il naturale ambiente e la fanciullezza dell'anima"
Già da queste parole è possibile capire che per Spengler il "termine", la fine, coincide con un declino della spiritualità più fresca, vivida, naturale e vigorosa, aliena da qualsiasi intellettualismo o preoccupazione primaria di ordine schiettamente pratico, e incline alle questioni di ordine metafisico.
Viviamo nell'epoca della civilizzazione, ossia, sempre secondo lo studioso, delle metropoli.
Le decisioni intorno al futuro dell'Occidente gravitano intorno ai grandi centri metropolitani.
Il risultato di tutto ciò è la sostituzione dello Stato ad opera della "società"; il primato degli interessi materiali, economici, su quelli spirituali: "A partire da tale punto, perfino una elevata concezione del mondo doveva essere una quistione di denaro"; il cerebralismo fine a se stesso nell'arte e nella filosofia; "l'intelligenza fredda e tagliente scalzante, il buon senso paesano, il suo naturalismo".
Per Spengler non è difficile comprendere il perché di tutto questo, se si segue l'identikit che egli traccia del cittadino metropolitano, contrapposto all'abitante della campagna e quindi ai ceti sociali dei contadini e della nobiltà terriera:
"Invece di un popolo formato, legato alla sua terra, un nuovo nomade, un parassita, l'abitante delle grandi città, il puro uomo pratico senza tradizione, ripreso in una massa informe e fluttuante, l'uomo irreligioso, intelligente, infecondo".
In sostanza, è proprio questa "intelligenza sradicata", se così possiamo dire, la conseguenza della civilizzazione.
"La metropoli significa il cosmopolitismo in luogo della patria, il freddo senso pratico in luogo del rispetto per quanto è tramandato ed è maturato, l'irreligiosità scientista come dissoluzione del precedente fervore religioso, la "società" in luogo dello Stato, i diritti naturali in luogo di quelli acquisiti. Il danaro come una grandezza astratta, inorganica, priva di ogni relazione col senso di una terra fertile e coi valori originari di una economia domestica".
Questo fenomeno di passaggio dalla civiltà alla civilizzazione, dalla cultura della provincia a quella delle metropoli, si è verificato nel corso delle diverse epoche storiche. In questo senso, i Romani rappresentano – secondo Spengler – una civilizzazione (e dunque un decadimento) rispetto alla Grecia:
"Senza anima, non inclini alla filosofia, senz'arte, rozze nella razza, rivolti senza scrupoli a successi concreti, il loro poso è fra la civiltà ellenica e il nulla. La loro immaginazione, esclusivamente orientata verso le cose pratiche (essi possedevano un diritto sacrale che regolava le relazioni tra dèi e uomini come fra privati, ma nemmeno una leggenda di dèi è schiettamente romana), è qualcosa che in Atene non si ritrova in nessun punto. Anima greca e intelletto romano: tali sono i termini. E' così che una civilizzazione si distingue da una civiltà".
La lotta ideologica per l'affermazione culturale e dogmatica tra città e campagna appare come una costante dei secoli, un destino ineluttabile:
"Prima, la lotta per la formulazione dell'idea di un'epoca nell'ordine di problemi mondiali metafisici di natura culturale o dogmatica si svolgeva fra lo spirito terriero del contadinato (nobiltà e sacerdotalità) e lo spirito "mondano" patrizio delle antiche, piccole, famose città del primo periodo dorico e gotico. Tali furono le lotte provocate dalla religione dionisiaca, per esempio sotto il tiranno Cleiste di Sicione, ovvero della Riforma nelle città tedesche dell'Impero e nella guerra degli Ugonotti. E queste città finirono col prevalere sulla campagna, così esse, a loro volta, dovevano venire travolte dalle metropoli. Questo è il processo spirituale proprio al periodo ultimo di una civiltà, all'epoca ionica come a quella barocca. Come al tempo dell'ellenismo, iniziatosi con la fondazione di Alessandria, grande città artificiale staccata dalla campagna, oggi le città che già rappresentarono una civiltà (Firenze, Norimberga, Salamanca, Bruges, Praga) sono divenute città di provincia (…)"
BIBLIOGRAFIA: Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Introduzione pp.57-64, Longanesi