In futuro fare più debiti non servirà

15.04.2020

Di Alessandro Cantoni 

In queste settimane si discute sull'opportunità di fare nuovo debito pubblico per fronteggiare l'emergenza Coronavirus. Una ricetta che si vorrebbe riproporre una volta superata la crisi sanitaria. A parte il fatto che non possediamo una Banca Centrale autonoma, ma le emissioni di liquidità dipendono dalla Bce, proviamo a fare un'analisi sulle opportunità ed i rischi derivanti da questo genere di operazione.

Recenti studi economici ci hanno dimostrato che non è importante la quantità di debito, ma la qualità dello stesso.

Cosa rende possibile un elevato indebitamento riducendo i rischi per l'economia? Innanzitutto, alle spese devono far fronte le entrate, e quindi occorre, contemporaneamente, un elevato livello di crescita.

Scopriamo che a causa dell'emergenza Covid-19, gli Stati Uniti hanno immesso liquidità per oltre 2.000 miliardi di dollari. Ancora prima che la Fed attuasse questa operazione, siamo informati del fatto che il gigante americano possedeva già un disavanzo annuale di bilancio superiore ai 1.000 miliardi di dollari, pari al 105% circa del Pil. Una cifra notevole, senza alcun dubbio.

Tuttavia, la crescita economica della repubblica federale prosegue ininterrottamente, in maniera stabile e costante, da oltre 120 mesi.

Come sostiene l'ex capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, "in un mondo di tassi di interesse ultra bassi (...) una buona crescita economica e livelli di debito pubblico elevati possono convivere e sono persino desiderabili" (Cfr. Agenzia Italia). I tassi di interesse sono bassi proprio perché, secondo l'ex capo economista del Dipartimento al Tesoro degli Stati Uniti Karen Dyan, esiste un'ampia offerta di capitali ed "i fondi disponibili per gli investimenti privati ​​non sono particolarmente scarsi" (Cfr. Agenzia Italia).

Un'altra questione fondamentale per stabilire la possibilità di affrontare un'ingente spesa a carico dello Stato è data dalla quantità di debito detenuta dagli investitori stranieri. Nel caso del colosso statunitense, sappiamo che, secondo uno studio condotto da Financialounge, oltre il 70% del debito appartiene al governo nazionale, agli investitor, ad istituzioni e alla Federal Reserve, mentre solo il 30% è proprietà di altre nazioni, in particolare Cina e Giappone. La Cina potrebbe ricattare Trump, ma ciò avrebbe comunque un effetto limitato sul rendimento dei Btp americani.

Veniamo ora all'Italia. Sebbene soltanto poco più del 20% del debito sia detenuto dagli stranieri, gli investitori interessati a quest'ultimo sono per lo più speculatori (come ribadito da Giuseppe Timpone in un recente articolo per Investireoggi.it), che fanno investimenti di breve periodo ed osservano gli andamenti dei prezzi. Ciò spiega perché non appena questi ultimi aumentino, risalgano anche i rendimenti. Pertanto, "il loro obiettivo non è quasi mai tenerli in portafoglio fino alla scadenza, un po' come accade con i bond 'spazzatura'".

Le banche hanno giocato un ruolo considerevole fino a questo momento, e la Vigilanza della Bce non vuole che si espongano eccessivamente verso il bilancio statale. I privati, infine, sembrano piuttosto mal disposti. Oltre alla Bce, che si è vincolata all'acquisto di nostri Btp, c'è il rischio che il Tesoro, se vuole attrarre nuova domanda, debba offrire rendimenti crescenti agli investitori per attrarli. Ciò peserebbe ulteriormente sui nostri conti pubblici. Le spese in deficit potrebbero funzionare soltanto qualora i rendimenti dei Btp restassero al di sotto dei tassi di crescita economica. 

Woodrow Wilson diede il proprio appoggio al Federal Reserve Act, che avrebbe consentito l'istituzione della Fed
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Jerome Powell, attuale presidente della Federal Reserve
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