La barbarie del cristianesimo e di noi moderni
Di Alessandro Cantoni
Interi secoli di cristianesimo hanno imbarbarito e infiacchito la razza europea. Ancora oggi, nonostante siamo laici e spesso anche atei, non possiamo ignorare i segni – anzi, le ferite – che questa religione ha lasciato e lascia sulla nostra pelle. A cominciare dal concetto di verità. Ancora oggi, crediamo che esista una verità oggettiva nella sapienza così come nella morale.
L'opinione dell'uomo comune, tanto ignorante quanto sicuro di sé stesso, è così violenta e dispotica da far sentire in difetto chiunque non vi si adegui. Guardate la faciloneria con cui i piccolo borghesi puntano il dito e condannano chi non si adegua ai canoni della vita comune. C'è forse una verità in quel che dicono? Per loro certamente sì, a giudicare dall'impertinenza.
Abbiamo completamente perduto, nella conoscenza, quel sano scetticismo che ha permesso a un popolo come quello dei romani di tenere insieme tante civiltà diverse e variegate. I romani, si sa, erano un popolo giovane e fresco: sempre aperto al confronto. Tuttavia, i cristiani hanno provocato una vera e propria crisi di coscienza. Sono arrivati loro, con il loro Dio unico, tirannico e autoritario, che pretendeva di negare autorità agli altri dèi. Il politeismo ci salvò dalla barbarie della verità unica.
Nella morale privata, è completamente scomparso il concetto di daìmon: il demone che ispirava a ciascun uomo una sua personale condotta di vita, al di là del bene e del male. Socrate va a morire perché ha creduto nel suo daìmon. La legge, per i greci, non era un'arte. Rispettavano la legge, ma non con l'ossequio dei cristiani, che hanno trasformato la legge paolina dell'amore in un totem. Ciascuno era l'artista di sé stesso, ed era bello vedere trionfare le tante virtù che risplendevano in diversi uomini. Ciò che contava era la bellezza in ogni azione che non fosse quella comune, consueta, di onorare le divinità e di servire la propria polis. Il greco non era bigotto come i cristiani. Alla bellezza, i cristiani hanno sostituito il più rigido dovere per il dovere (sia fatta la volontà di Dio!) e le virtù belle dei greci furono rimpiazzate dalle virtù comuni, ossia le virtù in cui si rinuncia all'eroismo, si rinuncia all'egoismo, al demone che anima ciascuno di noi. Le virtù cristiane sono virtù ammansite, addomesticate, rabbonite e pigre, fiacche, prive di nerbo e di vigore.
Guardiamo intorno la nostra società: nulla si eleva al di sopra della mediocrità. L'impiegato fa il suo dovere, l'operaio fa il suo dovere, l'ingegnere fa il suo dovere. E poi? Che altro? Ha la sua famigliola, si comporta da bravo cittadino. In cosa si distingue dagli altri? Se si distingue, in ogni caso, deve essere umile! No, non è neppure umiltà: è abnegazione, è tentativo di confondersi tra la massa. L'uomo di massa non esisteva nella civiltà politeista e greca, bensì solo in quella cristiana e laicizzata, ossia nell'Europa dei papi e nell'Europa moderna.
Non vedete con quanta sicurezza condanniamo ciò che non comprendiamo, ciò che è diverso dal modo di sentire comune? Anche ai tempi di Socrate esistevano i giudici, anche ai tempi di Socrate esisteva il reato di "empietà", esistevano le divinità della giustizia. Ma se Atena era contro di voi, potevate avere una sfilza di dèi dalla vostra parte. Quelle divinità avrebbero combattuto contro la divinità della vostra città e ci sarebbe stato uno scontro tra giustizie diverse: la vostra e la loro. La legge, per i greci, non era la verità: mai essi hanno considerato "sacra" la legge. Per quanto fosse importante, la legge era una sorta di esperimento.
Si può dire lo stesso dei cristiani, di noi? Noi siamo asserviti alla legge, all'opinione comune, al mito di una verità assoluta nella conoscenza e nella morale, le quali determinano un certo dogmatismo nel modo di pensare, bigottismo e spesso intolleranza. Non siamo giudici di noi stessi, non siamo "misura delle cose", come avrebbe detto Protagora. Siamo giudici al servizio della verità! Condanniamo, giudichiamo, spesso senza nemmeno avere capito la verità che andiamo difendendo. Per lo più per ignoranza, per incapacità critica, senza esserci mai messi in discussione o senza mai esserci chiesti quale fondamento avesse questa verità. Una verità, per essere oggettiva, deve avere un fondamento, altrimenti è una verità tra le tante, è una verità relativa, soggettiva.
Il cristianesimo finge di essere tollerante predicando l'uguaglianza, il perdono, la generosità e l'amore. Falso! E' solo un modo per farvi sentire più in colpa, voi che non siete cristiani ma che siete pagani. Dietro questa "tolleranza" si cela in realtà la convinzione che state sbagliando, che siete peccatori, e quindi sbagliati. Sbagliati perché non vi siete adeguati alla verità unica e suprema. Sbagliati perché non sapete cos'è la buona coscienza!
Pensiamoci: noi, laici e atei, siamo tanto diversi dai nostri antenati cristiani? No, siamo una goccia d'acqua. Non abbiamo più nemmeno Dio. Ci resta solo il dogmatismo dei cristiani, senza il loro Dio a far da garante. I cristiani hanno vinto, almeno per ora. Almeno fino a quando non vi sarà il preludio di una nuova Europa, di una nuova umanità. Nel frattempo, chi è ribelle alla morale comune dovrà ancora sopportare stoicamente il giudizio malsano e fazioso della gente, della piccola gente incapace di andare oltre il proprio naso. Finirà l'era della verità unica. Il nichilismo (quello positivo, quello che reagisce con nuovi valori) schiaccerà per sempre la serpe del cristianesimo, in qualsiasi forma subdola si manifesti.