La direzione verso cui andiamo

11.11.2020

IL COMMENTO 

Di Nicolò Corradini

Caro Alessandro, dopo aver letto il tuo pezzo riguardo l'attuale assetto mondiale, ho deciso, seppur timoroso della gravità di un simile compito, di raccogliere il guanto di sfida e darti la mia visione delle cose. Mi pare di capire che le questioni poste dal tuo articolo siano le seguenti: il relativismo culturale, la globalizzazione, il tramonto della tradizionale dicotomia destra - sinistra, il confronto tra capitalismo occidentale e capitalismo cinese. Premetto che eviterò di rispondere subito sul problema di destra - sinistra (che mi riservo di trattare in un prossimo articolo), ma per tutto il resto cercherò di essere il più sintetico e, insieme, esauriente possibile.

Il relativismo culturale pare, a mio avviso, un falso problema, giacché le differenze sono da sempre esistite tra gli uomini e tra le organizzazioni sociali nelle quali essi si riuniscono: è pur vero, però, che culture diverse sono foriere di stili di vita e di concezioni della ricchezza diversi, tali che non sempre sono funzionali all'applicazione dei metodi disviluppo occidentali. Sarebbe dunque da capire, se questo caleidoscopio di culture sia compatibili con un metodo di libero mercato, tanto in economia quanto nell'offerta politica. Nel caso faticasse ad esserlo, a mio modo di vedere, sarebbe auspicabile una contaminazione pacifica, fatta di fascinazione e di ricorso al soft power, piuttosto che un'imposizione manu militari. Nel tema dell'accettazione di culture diverse rientra anche il confronto tra capitalismo occidentale a guida americana e capitalismo cinese. Sì, perché nella realtà odierna della Cina non credo sia corretto parlare di "comunismo", quanto di una sorta di lobbismo istituzionalizzato, in cui pochi grandi attori multinazionali agiscono facilitati e supportati dal governo di Pechino, che diviene loro apripista in nuovi spazi commerciali semivergini (penso a tal proposito al progetto Belt and Road, o nuova "Via della Seta", e agli investimenti nel Corno d'Africa). Il popolo cinese, frattanto, è composto o si avvia ad essere composto da un miliardo e mezzo di consumatori, non di proletari del socialismo reale! Di conseguenza, vedi bene che non si tratta qui di uno scontro tra civiltà, o Weltanschauung differenti, ma di modi diversi d'intendere il capitalismo.

Per quel che concerne la globalizzazione, guardando alla Storia tutta, è possibile affermare che, dal punto di vista culturale, essa sia un processo ciclico ed incessante ad un tempo: è ciclico perché funzionante per un certo momento storico, ma successivamente il processo centripeto viene sempre rotto da eventi inaspettati, mentre si può definire incessante perché il confronto tra culture e modi di vivere diversi è sempre esistito e, se si vuole andare per il sottile, il "diverso" è potenzialmente ovunque. Cercherò di spiegarmi meglio: il tentativo di riunire tutti i popoli e le culture in un'unica prospettiva (meglio ancora se escatologica) si è sempre verificato nel tempo, ma ha dovuto sempre reinventarsi per via delle varie limitazioni che continuamente si sono presentate. L'impero romano cercò di urbem facere quod prius orbis erat, ossia fare del mondo intero un'unica città, come scrisse Rutilio Namaziano nel V secolo, ma si fermò di fronte all'impossibilità pratica di governare una così grande moltitudine di genti e storie diverse. Il Cristianesimo e l'Islam hanno cercato (e cercano, invano) di riunire tutti i popoli sotto i loro segni, ma sempre si sono arrestati di fronte al potere secolarizzante della tecnica.

Un grande nome della filosofia italiana recentemente scomparso, Emanuele Severino, ha individuato proprio nella tecnica il vero comun denominatore di tutta la modernità, che è tanto più denominatore quanto più norma e identifica il valore supremo di qualsiasi società avanzata: l'efficienza quantificabile. Posto che credo che l'essenziale sia invisibile agli occhi e che i valori profondi della vita non siano quantificabili, tuttavia credo di poter sostenere che il continuo aufhebung, il perpetuo migliorarsi, sia l'atteggiamento (capitalista al massimo grado) che ci ha dato il benessere nel quale viviamo. 

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