La doppia voce

23.12.2021

Di Alessandro Cantoni

Dostoevskij scriveva che in ognuno di noi vive un doppio uomo, un alter-ego, che però è una sorta di specchio rovesciato della coscienza. 

L'immagine riflessa è la stessa, ma trasfigurata, deformata. Immaginiamo di specchiarci in un bacino d'acqua immobile e, improvvisamente, di scuoterne la superficie. Le nostre forme appariranno allungate, sembreranno debordare dai loro limiti naturali. 

Questo fenomeno si produce anche a livello della coscienza, quando siamo svegli oppure addormentati, nel sogno. 

La realtà che ci circonda può prendere vita nella nostra mente, per così dire animarsi, quando un albero cessa di essere semplicemente albero; una casa un semplice agglomerato di mattoni e di cemento, e così via. 

Questa trasformazione non va confusa con l'allucinazione o una malattia della mente. Talvolta avviene senza che noi ci accorgiamo di questa trasfigurazione. Si verifica ogni volta che gli oggetti intorno a noi ci comunicano qualcosa, anche se non immediatamente percepibile, in maniera confusa. L'emozione che provo nel contemplare un paesaggio nasce da una trasfigurazione

della realtà stessa, dove io stesso assurgo il mondo a simbolo. In altre parole, non vedo più le cose come sono oggettivamente, ma soggettivamente, dal mio punto di vista, totalmente individuale.

Per descrivere tale fenomeno, Henri Bergson faceva l'esempio del tempo come durata, ossia in che modo viene percepito da me, e non la definizione di tempo fornita dalla scienza (successione di istanti sempre uguali a se stessi, isolati l'uno dall'altro). 

La situazione è la medesima di quella descritta poc'anzi: un quarto d'ora non è mai il quarto d'ora oggettivo, ma viene percepito differentemente a seconda delle circostanze in cui mi trovo. La coscienza registra quei 15 minuti in modo diverso dalla lancetta del mio orologio. 

Questa vita della coscienza, indipendente rispetto alla nostra intelligenza razionale, scientifica, è ciò che i greci definivano "follia divina" e che ricorda la doppia voce di Dostoevskij. E' la realtà dionisiaca dell'uomo, che traspare e viene messa in moto. 

Il genio creativo è colui che riesce a tradurre questa doppia voce in immagini o parole: è il poeta lirico, l'impressionista, l'ermetico, il simbolista. 

Leggere la Divina Commedia significa entrare nella follia divina di Dante, ossia nel suo io più profondo, come diceva Jung, quello autentico, che parla il linguaggio immediato della coscienza anziché quello oggettivo, sempre uguale a se stesso, impersonale, della ragione. 

Il linguaggio della ragione (quello didascalico, logico-scientifico) dà sempre e soltanto un solo significato alle cose. Ma sono le sfumature di quel senso logico a definire la complessità e la ricchezza dell'essere umano. In altri termini, l'immaginazione è ciò che discerne il genere umano in individui.  

Non sempre la doppia voce ci suggerisce immagini sublimi o allietanti. Ma pensiamo quale grave perdita avremmo dovuto subire se gli incubi, i simboli più terrificanti, non fossero stati trasmessi dalle generazioni umane. Ascoltare la doppia voce appare difficile al giorno d'oggi, in cui curiamo le paure con psicofarmaci; allontaniamo le emozioni per paura di rimanerne sconvolti o di turbare un equilibrio uniforme e indifferente di cui ci ha parlato Aldous Huxley ne Il mondo nuovo. Ma è ora di compiere il sacrificio estremo, di mettere a nudo la doppia voce e di prestare ascolto all'oracolo di Delfi. 





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