La filosofia dell'homo faber come rimedio al consumismo
Di Alessandro Cantoni
Quand'è che l'uomo perde la bussola? Quando non sa più chi è.
Il nuovo ordine economico mondiale ha alterato il nostro rapporto con il mondo e persino confuso la nostra identità, singolare ed unica.
Il neocapitalismo - e con questo termine intendo le pieghe che il sistema capitalistico ha assunto dal dopoguerra ad oggi - ha ulteriormente esacerbato la trasformazione del valore d'uso delle merci in valore di consumo.
Nel valore d'uso era ancora implicito il criterio della durata e della durevolezza dei beni prodotti.
La vacuità degli oggetti di consumo è manifesta nella loro sottrazione di valore intrinseco.
Qualunque entità, oggi, possiede valore di consumo. Non soltanto gli accessori, ma persino i vestiti, l'automobile, la casa. Sostituire, rimpiazzare è l'imperativo categorico del consumatore nella società di massa.
Dietro questo atteggiamento si cela una desacralizzazione della natura e dell'operare inteso come lavoro delle mani; una divinizzazione dell'ontico a scapito dell'ontologico.
Gli oggetti, così come i pensieri, le azioni ed il discorso (logos), costituiscono la nostra identità e capacità di identificazione.
Perciò essi dovrebbero mantenere, normalmente, un rapporto di intimità con la sfera ontologica soggettiva. Essi fanno parte del nostro cosmo - oltre che strumentale - umano.
In virtù di ciò, l'obiettivo comune dovrebbe mirare alla conservazione del creato.
L'uomo del XXI secolo vive, al contrario, un rapporto inautentico con esso. Non soltanto non riconosce alla realtà un vero e proprio valore intrinseco, bensì svaluta il contenuto oggettivo del lavoro racchiuso in ciascun prodotto e manufatto umano.

A morire è proprio la filosofia dell'homo faber, dell'artigiano che concretizza il suo ingegno razionale nell'opera che intende plasmare. La forza dell'immaginazione e l'abilità delle mani sono ciò che vincolano indissolubilmente l'elemento naturale e quello umano.
Questo smarrimento del significato di sé e della cosa è indotto dalla struttura economica che regge la società contemporanea.
Infatti, il lavoro viene trasfigurato in un processo automatico e automatizzante, al punto che ci si identifica in esso, come già rilevava Carlo Marx. Cambiano i metodi rispetto al passato, ma non la sostanza.
Questo mutamento è tipico, di per sé, di ogni struttura capitalistica moderna, ma mentre il capitalismo precedente il dopoguerra racchiudeva in sé una moralità (quella borghese, tradizionale), oggi tale questione non si pone, poiché funge da ostacolo alla moltiplicazione di ricchezza e di consumo, che la alimenta.
La morale borghese consisteva in un'accumulazione del capitale destinata, in larga misura, al reinvestimento produttivo. I valori cristiani e borghesi del risparmio, del lavoro, del sacrificio, sorreggevano ancora l'azione del vecchio capitalista.
Oggi, al contrario, lo stimolo alla consumazione ha ulteriormente
consegnato l'uomo al ritmo di produzione accelerato in cui aliena la propria
coscienza e diventa un soggetto sprovvisto di legami autentici con il mondo
degli artefatti e, in conclusione, con la natura stessa.