Il sangue di Sion

Nel giorno in cui le Nazioni Unite generarono lo stato di Israele,
correva l'anno 1948.
Era un bel giorno di primavera, e tutto lasciava presagire il meglio
per il popolo di Canaan.
Le spighe di grano dorato germogliavano nei campi cocenti, mentre
un ramoscello d'ulivo veniva teso, per la prima volta agli Ebrei dopo
secoli di incessanti persecuzioni.
Quel ramo verde e benedetto essiccò quasi subito, perché da allora
Arabi ed Ebrei non hanno più trovato la pace.
Il sangue scorre a flutti, frammisto alla polvere che da sette decenni
infesta quei territori sacri. Gli stessi che diedero i natali ad un
uomo, Yehoshua, meglio conosciuto come Gesù di Nazareth o il
Profeta, il Figlio di Dio, il Cristo, ovvero l'Unto, il Consacrato.

Ebreo, figlio di Giudei, predicò alla stirpe eletta, quella a cui Jahvè,
l'Innominabile, aveva conferito le tavole della Legge, per mezzo di
Mosè.
Gesù trascinò sempre le sacre radici appresso di sé, persino nel dì
nefasto in cui trovò la morte.
Gela il sangue ricordare che quella terra, sulla quale emanava un
aulico e solenne pensiero mistico è oggi ricoperta di macerie, bossoli
e fili spinati. Gli stessi che rievocano Auschwitz o i rovi di spine,
entro i quali precipitò inesorabilmente il seme fecondo.

I palestinesi, supportati da quelli che ci considerano pionieri del
Male, ovvero l'Arabia Saudita, rivendicano quei luoghi.
Si tratta di una questione politica? Non solo. A pesare è soprattutto
quella religiosa.
I palestinesi, di religione islamica, pretendono tutto, ogni singola
zolla o granello di sabbia, sentendosi perciò legittimati a scacciare i
fastidiosi vicini, colpevoli di nulla se non di aver trapiantato le
proprie radici in quella che da sempre è la terra dei padri.
Essi invece, gli islamisti, appartengono ad una frangia radicale,
ortodossa della religione maomettana, predicando la jihad. L'odio
per i seguaci di altre fedi pulsa nei loro cuori, duri come pietre.
Mosè Maimonide, vissuto a cavallo tra il XII ed il XIII secolo,
avrebbe detto che Dio è solamente nelle loro parole, sulla loro bocca,
ma che in loro non splende la luce perpetua, poiché hanno vòlto le
spalle alla dimora del Re.
Alcuni credenti islamici pongono serissimi problemi. Non la
religione di per sé, che, in quanto tale, è sempre indirizzata verso
un ideale di armonia, comunione, rispetto. Mi riferisco piuttosto alle
centinaia di migliaia di carnefici, i quali impediscono ad un popolo
già indebolito, quello ebreo, di professare liberamente e di trovare
definitivamente la pace.