La nuova Europa e l'Italia dopo l'emergenza

29.03.2020

Di Alessandro Cantoni

È possibile rimanere nell'Unione Europea senza tornare alle formule originarie dei vecchi Stati-nazione? La risposta è sì, ma tutto dipende dalla serietà delle nostre scelte future.

Il pareggio di bilancio pare un traguardo irraggiungibile, ma allo stesso tempo molto può essere fatto per adottare pratiche più virtuose.

Il momento che stiamo vivendo ha permesso di allentare le corde tese del Patto di Stabilità, e come Paese dobbiamo lottare affinché si raggiunga un'intesa comune sulla copertura del nuovo debito che gli Stati saranno costretti a cumulare a causa dell'emergenza Covid-19.

Come Italia, ma anche come forza europea, abbiamo il dovere di batterci affinché il rigorismo economico vada in pausa, almeno fino a quando lo richiederà la situazione.

Ma pensando al futuro e a quello che verrà dopo, proviamo a fare una disamina sui vantaggi che trarremmo dall'appartenenza alla Comunità europea ed i relativi svantaggi conseguenti ad un'uscita. Innanzitutto, a livello commerciale. L'unione ci consente di stringere solidi accordi multilaterali avendo maggiore stabilità e forza sul mercato internazionale. Uscire dall'Ue implicherebbe, al contrario, un enorme rischio, in questo senso. Parimenti, l'Unione bancaria è un bene, se i meccanismi di funzionamento vengono stabiliti a livello collegiale e non soltanto con il beneplacito dell'asse franco-tedesco.

come Paese dobbiamo lottare affinché si raggiunga un'intesa comune sulla copertura del nuovo debito che gli Stati saranno costretti a cumulare a causa dell'emergenza Covid-19.

In momenti di difficoltà, è facile essere passionali, istintivi. Io stesso ho parlato di uscita come unica soluzione alla crisi imminente, ma, a ben vedere, non pare la chiave di lettura più appropriata.

Al contrario, si tratterebbe di una scelta istintuale e controproducente nell'ottica di una sempre più pervasiva globalizzazione. Difendere gli interessi nazionali è un diritto sacrosanto. Anzi, gli Stati devono ancora avere un ruolo centrale nella scelta delle proprie politiche economiche, sociali, politiche. Far parte di una grande squadra, tuttavia, può portare ad alcuni risvolti positivi.

La sfida dei prossimi anni sarà quella di far valere le proprie ragioni (applicando dei correttivi alla globalizzazione) in un contesto di inclusione e di compattezza tra nazioni europee.

Bisognerà lavorare, certamente, al fine di superare il vincolo del 3% impostoci dall'Ue. Alcuni Stati già se lo possono permettere, spesso per motivi opportunistici, ma specialmente perché godono di maggiore credibilità. L'asse franco-tedesco può essere finalmente scisso, ma affinché ciò avvenga, dobbiamo conquistarci una maggiore autorevolezza.

Pur senza aspirare ad un pareggio di bilancio, la prima mossa da fare resterebbe quella di nominare un Commissario per la spesa pubblica come il professor Carlo Cottarelli, il quale possiede un'idea precisa relativamente al metodo con cui revisionare i conti del bilancio statale. Una via indicata anche nel libro La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare (Feltrinelli, euro 9,00), uscito nel 2015 ma sempre attuale.

Se non si ripartisse da un aggiustamento dei conti, non sarebbe possibile rivedere i trattati in modo favorevole al nostro Paese e di consentire il sostegno ad una spesa sociale che, ovviamente, implica un certo dispiego di risorse.

Diminuire sensibilmente il deficit ci consentirà di sedere al tavolo delle trattative con maggior voce in capitolo e ci renderà meno vulnerabili alle situazioni di emergenza. Grazie all'impegno, alla revisione degli obiettivi economici di medio-lungo termine, e agli investimenti sociali opportuni, potremo finalmente guadagnarci quella sovranità giustamente invocata, ma che richiede un'inversione di rotta rispetto al presente. Evitando, a quel punto, di ripetere gli errori commessi durante gli anni Settanta e Ottanta, quando l'Italia, in preda all'euforia del boom, dilapidò il proprio tesoro in vertiginose spese assistenziali e previdenziali.

Una volta risanato il bilancio, sarebbe opportuno perseguire delle politiche keynesiane. Non però sul modello di un keynesismo grossolano (spesa pubblica improduttiva), bensì secondo criteri di spesa pubblica produttiva, in grado di generare nuovi introiti tramite l'aumento dei consumi, ad esempio. L'abbassamento delle tasse e anche il meccanismo della scala mobile, se gestita secondo criteri opportuni, potrebbero andare in questa direzione.

Firma dei Trattati di Roma nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, 1957 

La dichiarazione Schumann tenuta a Parigi nel 1950 fu un discorso politico in cui si parlò di unione economica e politica

Jean Monnet, tra i padri fondatori dell'Unione Europea

Hermann Josef Abs firmò l'accordo sul debito di Londra nel 1957, Foto: Deutsche Bank AG, Kultur und Gesellschaft Historisches Institut, Frankfurt am Main

Alcide De Gasperi, tra i padri fondatori dell'Unione Europea, è qui commemorato in un francobollo della Deutsche Bundespost

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