La politica del bastone e la carota è meglio del giustizialismo

18.01.2021

Di Alessandro Cantoni 

Che cos'è la politica del bastone e la carota? E' l'arte di governare, in Italia.

Per molti decenni, questa strada è stata intrapresa, con un certo successo, durante la Prima Repubblica. Il padre - o quantomeno il capomastro di questo modus operandi - è stato Giulio Andreotti.

Pochi anni di bufera giudiziaria e di clima forcaiolo sono stati sufficienti a logorare la sua immagine, a screditare un'intera stagione politica, archiviata nelle pagine di storia e dei tribunali quale focolaio di corruzione. L'età di Mefistofele, dell'Anticristo.

Chi sono stati i nuovi salvatori della patria? I professionisti dell'antimafia, gli intoccabili dell'onestà. Il paese è stato sommerso da un'ondata di ipocrisia,

di opportunismo delle nuove classi dirigenziali, e di stupido, cieco idealismo da parte dei più o meno innocui sostenitori del giustizialismo.

Mi rivolgo ai miei lettori, a chi ancora conserva la buonafede ed il buon senso. Non certo ai manettari che, prevedo, vorranno accusarmi di clientelismo.

La politica del bastone e della carota riguarda i rapporti tra lo Stato e la cosiddetta consorteria o camarilla. Come indica la parola stessa, si tratta un'associazione clientelare più o meno occulta, particolaristica, fondata sul tentativo di corrompere l'apparato pubblico. In un certo senso, si può parlare di consorteria rispetto a lobby di tipo politico e burocratico. Le camarille, a differenza delle consorterie, non hanno un riconoscimento ufficiale ed agiscono più nascostamente.

Con esse ha da confrontarsi, oggi, il nostro Stato, ed è rispetto ad esse che si fonda il mio discorso sul "bastone e la carota".

Per capire la concretezza di questa situazione, prendiamo il caso della Capitale. A Roma non esiste un potere centrale, ma infinite diramazioni, rivoli, in cui è difficile individuare la mela marcia.

Per questo motivo, essa è una città tecnicamente ingovernabile, se non a due condizioni: il compromesso, o il commissariamento.

Ora, estendiamo l'esempio appena fatto a tutta la realtà nazionale. E' evidente che non si può commissariare l'Italia, ma una via è sempre possibile. So che quanto sto dicendo non è né accomodante né adatto alle orecchie di monache di clausura. Si tratta di semplice realismo. Andreotti fu realista. Capì che le camarille (nel senso che ho ricordato) non possono essere sconfitte con la bandiera dell'onestà agitata come uno striscione negli stadi. "Il politico onesto è il politico capace", ovvero colui che è dotato di senso pratico e di integrità morale. L'integrità morale di Andreotti è fuori discussione. Le sue scelte - e quindi anche i suoi accordi, le trattative con le lobby di potere - intervennero a favore del bene comune. Furono compromessi finalizzati a raggiungere obiettivi comuni, nell'interesse della nazione.

Lo Stato non deve mai perdere di vista, infatti, tale obiettivo: l'interesse generale, collettivo. In caso contrario, avremmo ben ragione a parlare di clientelismo.

Allo stesso tempo, non si creda che il Divo avesse la mano leggera nei confronti di questi soggetti. Promulgò leggi e provvedimenti anche molto severi contro di essi, rischiando personalmente.

Oggi si preferisce trincerarsi dietro discorsi di comodo. Avanzano figure come i Cinque Stelle e Virginia Raggi. Bravi ragazzi, per carità, ma forse dovrebbero tornare a scuola da coloro su cui hanno gettato fango per ignoranza o malafede. L'Italia è una realtà complessa. Va conosciuta nel profondo. Ci sono due alternative: rimanere nell'immobilismo, o ragionare concretamente sul modo di sbloccare e di riformare lo Stato.

La realpolitik andreottiana (che non era una macchina del male, come pretende qualcuno) ci insegna che con senso dello Stato, integrità morale e razionalità si può combattere una battaglia più proficua contro le associazioni clientelari (la carota) e, piano piano, logorarle dall'interno (il bastone). 

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