MARIA CAROLINA D'AUSTRIA: Quando le mogli sono più intraprendenti dei mariti






Di Alessandro Cantoni
Per conoscere la storia non c'è nulla di meglio che la scoperta dei luoghi. Sono essi a darci un'ampia documentazione sul carattere e la personalità dei sovrani. Entrando nel Palazzo di Aquisgrana, di cui oggi resta ben preservata la magnifica Cappella Palatina, chiunque può farsi un'idea sull'ambizione e il mecenatismo di Carlo Magno.
L'Italia ha una sua storia, certo meno brillante di quella francese. I suoi simboli più venerabili si trovano quasi tutti sparsi nelle città del nord: le sole ad aver conosciuto dominatori degni di sincera ammirazione. Principi e duchi, ma anche austriaci.
Neppure nel Mezzogiorno sono mancati eccellenti condottieri di uomini. Ma sono per lo più i Borbone di Spagna ad aver soggiogato il regno delle Due Sicilie per tutto il Settecento e fino all'unificazione della penisola. Tra di essi vanno annoverati abili politici, come Carlo III, ed altri personaggi meno rispettabili. Ad esempio suo figlio Ferdinando, entrato in carica nel 1767, all'età di soli sedici anni. Per capire la storia di quest'uomo occorre recarsi in una località prossima a Caserta, in un borgo a circa quattro chilometri di distanza dalla magnifica reggia del Vanvitelli. Dobbiamo andare al Belvedere di San Leucio: un complesso monumentale voluto da Carlo, ma molto frequentato da suo figlio, passato alla storia come il Re lazzarone. Lontano dalla vita di palazzo e dagli impegni politici, il nostro re trastullone sognava una città ideale, Ferdinandopoli; mangiava voracemente fino a riempirsi come un otre, e nelle ore di tempo libero dava la caccia ai fagiani. Ogni tanto tra una schioppettata e l'altra si imbatteva in qualche contadinotta che alzava volentieri la sottana e con la quale il furbacchione faceva delle scappatelle fino all'alba del giorno appresso. Mangiare, bere e andare a spasso. Questa era la vita del nostro «Michelaccio», il quale viveva della luce riflessa del Tanucci, braccio destro e uomo di fiducia di Carlo III. Ben presto, costui si rese conto dell'inettitudine e del carattere burbero di quello sfiancato d'un figlio. Perciò ripose in Tanucci ogni speranza, ed è certamente merito del suo operato se il regno non affondò ancor di più nei debiti. Il paglietta, come veniva chiamato Ferdinando in virtù del suo carattere vispo e giocondo, non era stupido. È che proprio non si impegnava né mostrava alcun interesse per lo studio o l'educazione di corte. Anzi, furono proprio le maniere aristocratiche a ripugnarlo. A ben guardarlo, lo avresti preso per un pezzente, se non fosse stato per la corona e l'abito regale. Tra i suoi, pare avesse pure fama di scorreggione e buffone. Si burlava di quelle dame imperlate e ovattate facendo loro certi pizzicotti sul deretano. Del resto, da uomo bestiale quale era, non v'è alcun dubbio che preferisse l'ardore e la volgarità delle popolane. La migliore descrizione di questo stravagante personaggio ce l'ha data Giuseppe, fratello di quella Maria Carolina d'Austria di cui parleremo a breve e che ebbe la sventura di trovarsi ammogliata a quell'uomo rude e villano: «Alto un metro e ottantacinque, scarno e ossuto, con la schiena curva, dondola sulle gambe troppo deboli per il peso del corpo massiccio. Ha grosse braccia, grossi polsi e grosse mani sempre sudicie. La testa è piccola con una selva di capelli color caffè, che non incipria mai. Il naso, via via che si distacca dalla fronte, si gonfia in una palla, fino alla bocca larghissima e col labbro inferiore molto sporgente». Non proprio un figone, come si direbbe al giorno d'oggi. Per lo più infedele e cafone. Cosa ci azzeccasse costui con la raffinatissima e colta Maria Carolina, lo ignoriamo. Ma certamente dovette inorridirla ben presto, se è vero che andò a letto con il suo stretto collaboratore e uomo di fiducia John Acton, segretario di Stato a Napoli.
Di fatto, Ferdinando IV fu talmente refrattario alle questioni diplomatiche da cedere il timone alla moglie, guardata di sbieco dal Tanucci e dallo stesso Carlo per ragioni dinastiche. Non dimentichiamo che la bella Maria era una discendente degli Asburgo d'Austria. Carlo temeva, non senza ragione, che di lì a poco, infatti, le Due Sicilie sarebbero diventate un monocolore non più capeggiato dai gigli, ma da un'aquila rapace. Negli anni di governo della consorte illuminata e illuminista, le cose andarono piuttosto bene per Napoli e il suo hinterland. Come più volte accadde nel corso dei secoli, fu una donna a portare i pantaloni e guidare le sorti di un regno disastrato sotto molti punti di vista. Certo non fu facile invertire le linee di tendenza scialacquone dei Borbone, sebbene questi ultimi avessero dato vita a un intenso flusso di commerci e attività artigianali, imprenditoriali, nel circondario del Vesuvio. Mentre quel pirlotto di suo marito si dedicò all'ozio, Maria continuò a ragionare da donna austriaca, prima di tutto, e da imprenditrice. Circondandosi di abili e fidati collaboratori, tentò di trasformare il regno in una potenza marittima e militare, mentre sul piano interno fondò un vero e proprio nucleo industriale a San Leucio. È merito suo, infatti, se ancora oggi in questa località vengono prodotte le pregiatissime sete conosciute in tutto il mondo. Promosse i lavori per la costruzione di una città-fabbrica preoccupandosi di dare un lavoro ai suoi sudditi. Con lei sembrava eclissarsi un'era in cui troppo spesso si viveva di prebende o redditi di cittadinanza ante litteram. Finalmente il popolo tornava a lavorare grazie a un'iniziativa del governo. Furono costruite nuove abitazioni residenziali dotate di acqua corrente e servizi igienici, mentre all'interno della fabbrica vigeva la più completa uguaglianza tra uomini e donne. Si poteva lavorare dopo i quindici anni, partecipando dell'educazione scolastica obbligatoria fino all'età di sei.
Certo, doveva trattarsi di una vera e propria innovazione per quei tempi. Una rivoluzione a cui non erano per nulla abituati gli spagnoli, i quali continuarono a disprezzarla ed avversarla. Non avevano certo in simpatia quei suoi modi risolutivi, quella sua educazione moderna e neppure, probabilmente, la sua emancipazione sessuale che nella vita la portava ad amare le donne tanto quanto amava (e disprezzava) gli uomini.