
L'eterno ritorno del contadino salverà l'umanità
Di Alessandro Cantoni
Una delle principali patologie di cui soffre la scienza, è la volontà di dominare gli eventi. Nel suo rapportarsi con il mondo, si manifesta la paura verso l'Essere, ossia, per dirla con Heidegger, verso l'imprevedibile e l'incondizionato.
L'Essere sfugge al controllo dell'uomo razionale, o meglio a quel razionalismo scientifico classificatorio di cui è permeata la tradizione filosofica occidentale.
Potremmo definire questa ansia per l'ignoto, una paura dell'Essere.
Lungi dal permanere un vizio della scienza, il delirio di programmazione è ormai penetrato nella coscienza dei singoli esseri umani civilizzati. La civilizzazione è divenuta persino un marchio di fabbrica, che non lascia spazio ad altre forme di civiltà - come quella contadina - o di pensiero.
Essere-semplicemente, ossia rimanere in ascolto, nell'attesa dell'evento: di ciò l'uomo nuovo contemporaneo è divenuto del tutto incapace. Non si accontenta più di questo istante, perché non lo capisce. Non ne afferra il senso (anzi, ne è per lui del tutto privo). Non si è in grado di descriverlo o afferrarlo. Solo l'artista e il poeta - i nuovi paria del mondo globalizzato e capitalistico - osano tanto.
Se si vuole parlare dell'Essere, il linguaggio deve rinunciare ai suoi consueti mezzi espressivi, analitici. Deve farsi poesia, simbolo, vaga allusione, o tramutarsi in musica e pittura.
Il contadino conosce l'Essere in maniera istintiva, intuitiva; non del tutto consapevolmente, forse, quanto l'artista. Ma il suo mondo resta tra quelli più integri ed incontaminati dalla furia del pensiero meccanizzato, tecnico-calcolatore.
La malattia del secolo, da cui discende il dominio degli eventi, è ciò che Sergio Paronetto ha chiamato, in maniera assolutamente esaustiva, "ipertrofia del pensare".
Non è esagerato parlare di malattia, poiché in molti casi l'ipertrofia del pensiero è causa di morte o di vari disturbi a livello psichico. Ciò accade perché è impossibile secolarizzare l'Essere, ipostatizzarlo nel vano tentativo di possederlo e plasmarlo secondo i nostri bisogni.
Di ciò era consapevole Friedrich Nietzsche, il quale ci invita a rimuovere ogni filtro magico o meno dall'Essere, accettandolo nella sua nudità: caoticità irrefrenabile, tumulto di eventi indecifrabili, a cui la volontà di potenza si adegua consapevolmente, e non passivamente. Amor fati, ossia amore verso ciò che semplicemente "è", e deve essere, indipendentemente da noi.
Eternizzare il presente non vuol dire trasfigurarlo e neppure trascenderlo, ma semplicemente viverlo.
Tentare di imprigionare l'Essere secondo i nostri desideri e bisogni, genera quel senso di frustrazione e di impotenza di cui è vittima l'uomo che si proietta febbrilmente nel futuro e non accetta un presente di cui gli sfugge il significato.
Lasciar-venire-ad-Essere: è l'antica sapienza dei greci e dei contadini.