L'eterno supplizio dei pescatori italiani in Libia

31.10.2020

Dopo 60 giorni di prigionia nelle mani di Haftar, il governo italiano non ha ancora liberato i 18 pescatori di Mazara del Vallo. Uno scandalo che grida vendetta

Di Alessandro Cantoni 

La tragica vicenda che ha riguardato il sequestro dei pescatori in Libia, ricorda molto da vicino alcune vicende passate della nostra storia. Non è la prima volta, infatti, che un uomo di potere abusa della sua forza per ottenere un compromesso col nemico. A farne le spese, questa volta, sono stati diciotto pescatori, di cui otto italiani, fermati e rapiti dai sicari di Haftar a 38 miglia dalle coste libiche.

Qualcosa di analogo accadde nel lontano 1240, quando la flotta imperiale di Federico II aggirò una nave genovese carica di prelati, i quali vennero prelevati e confinati al largo della Puglia.

Per il duce Svevo si trattava di un potentissimo strumento di ricatto, attraverso cui convincere papa Gregorio a non ostacolare i suoi progetti di conquista nella penisola. In effetti, il tentativo di unificazione del regno si era rivelato più complicato del previsto. Specialmente al Nord, dove le città guelfe insorgevano di continuo contro il potere centrale, sempre in nome di quell'Alberto da Giussano che volveva mozzare la testa allo zio dello "stupor mundi": Federico Barbarossa.

Il tentativo di usare i vescovi come moneta di scambio nelle trattative con Santa romana Chiesa fallì miseramente e, viste le dure reazioni dell'opinione pubblica, Federico cominciò col rilasciare i prelati francesi.

PIO VII

È più facile manipolare un generale incallito che piegare l'intransigenza di un pontefice. I soprusi si ritorcono, di solito, contro chi li ha esercitati. Questo ci insegna un altro caso celeberrimo, quello di Pio VII alle prese con gli intrighi di Napoleone Bonaparte. I rapporti con quest'ultimo erano stati abbastanza buoni all'inizio del XIX secolo, nel lontano 1801, quando fu siglato il Concordato che ristabilì un certo prestigio alla Chiesa cattolica in Francia. Napoleone, che era scaltro, intendeva servirsene per esercitare al meglio il suo potere. Pur essendo, forse, ateo e miscredente, conosceva il potere della religione civile allo scopo di ammansire il gregge indisciplinato. Con l'appoggio della tiara, anche lo scettro imperiale si sarebbe sentito legittimato ad assumere maggiore rilevanza nello scacchiere europeo. Lusingato dalle promesse di quel generale, Pio VII accettò, sebbene malvolentieri, di consacrare l'investitura imperiale di Napoleone nel 1804.

Da abile manipolatore quale era, dopo poco tempo stracciò quel concordato, o, per meglio dire, lo schiacciò sotto i piedi riducendolo ad una carta straccia. Le relazioni tra i due si aggravarono, al punto che i francesi si vollero impossessare dei territori ecclesiastici in Italia. Non ci misero molto ad ammainare lo stemma papalino e ad issare la bandiera francese nella capitale. Infischiandosene della scomunica, Napoleone ordinò di prelevare il vegliardo dal Quirinale e di trasferirlo a Savona. Era la notte tra il 5 ed il 6 luglio 1809.

La reclusione fu piuttosto dura per un uomo di quella età e segnato dagli acciacchi. Gli fu impedito persino di leggere e di scrivere. Trattato alla stregua di un criminale, venne sballottato da una parte all'altra della Francia fino a giungere nel castello di Fontainebleau. Napoleone desiderava ottenere l'investitura dei vescovi francesi. Tuttavia, dopo aver accettato una trattativa umiliante, il papa ci ripensò su e si rimangiò la parola per non darla vinta a quell'usurpatore blasfemo ed arrogante. Non solo, ma per dimostrare la sua integrità morale e la sua fermezza, annullò, nel marzo del 1813, tutti gli atti ufficiali dei vescovi francesi. Trasferito nuovamente a Savona nel '14, scoprì che Roma era stata liberata. Finalmente poteva tornarsene in patria sano e salvo e con dignità.    

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