L'intervista ad Alessandro Cantoni: destra rivoluzionaria

27.12.2023

Intervista ad ALESSANDRO CANTONI, dottore in Filosofia e direttore di questo blog.

Di recente hai parlato di una destra rivoluzionaria. Che cosa intendi dire?

Mi è stato fatto notare che l'accostamento della parola "destra" a quella di "rivoluzione" risulta problematico sul piano logico. Condivido in parte tale obiezione. Ma quando parlo di rivoluzione, intendo questo termine in senso lato, relativo ad una destra attuale che è assestata, culturalmente, su posizioni ultra-borghesi e ultra-capitaliste.

Sei contro il libero mercato?

No, assolutamente. Il punto sta proprio qui: la mia critica non riguarda la visione politica, bensì quella culturale. A mio avviso c'è differenza tra la promozione di un determinato modello economico e il fatto di pensare esclusivamente secondo quel determinato modello. La fiducia nel libero mercato, alla quale non mi oppongo, deriva dall'idea che per vivere meglio occorra possedere un maggior numero di beni materiali. Affinché la partecipazione al processo economico sia democratica, serve incentivare l'iniziativa privata e dei singoli.

Una critica sul piano culturale. Dunque come dovrebbe essere la destra?

Io credo in una destra dei valori, dove il perseguimento della propria crescita economica si integra ad un processo di spiritualizzazione e di progresso culturale. Il mio obiettivo non è quello di impedire alle persone di guadagnare – anche in modo facile, se lo desiderano – il proprio denaro, o di spenderlo e di investirlo come meglio credono, bensì quello di rendere i soggetti economici più consapevoli delle loro scelte e della loro visione globale di sé stessi, degli altri e del mondo. Credo, ad esempio, che senza valori l'economia possa sconfinare in una competitività accanita e in un'attività di speculazione nociva per gli altri. Per me, i valori sono idee che da pensiero si trasformano in azione e che valorizzano la persona in termini di coscienza di sé e del prossimo. Non penso solo ai valori cristiani, ma anche a quelli derivati da altre tradizioni culturali, passate, presenti o future. Dobbiamo avere uno sguardo ampio e a 360 gradi.

Ti definiresti un conservatore?

Lo sono sotto molti punti di vista. Sicuramente la mia formazione culturale attinge molti valori ed esempi dal passato, in particolare da quello occidentale. Tuttavia, non sono conservatore nel senso ortodosso della parola: non è mia intenzione imporre alcun modello culturale, passatista o modernista che sia. Sono per la libertà di autocoscienza e di autodeterminazione del singolo. Ognuno è libero di ispirarsi al modello culturale che ritiene giusto per sé, purché questo non rappresenti una minaccia per gli altri. Preferisco definirmi un uomo liberale, o aspirante tale, con tendenze culturali conservatrici. Guardo al presente con diffidenza: soprattutto al presente del mondo occidentalizzato.

Perché?

Mi sembra che l'Occidente, attualmente, sia culturalmente cieco e che la sua visione non vada al di là dell'accumulo di denaro come simbolo della felicità terrena.

Hai parlato di valori e hai detto che questi non devono remare contro il sistema economico vigente. Dunque quale sarebbe il senso di questa spiritualizzazione?

Ciò che differenzia un pensatore di destra radicale da uno di sinistra radicale credo sia, innanzitutto, la rinuncia a qualsiasi ambizione a rendere perfetto l'ordine terreno in cui viviamo.

Io non mi oppongo alla storia, tanto meno a quella economica. I rivoluzionari di sinistra hanno sempre fallito e sempre falliranno nel voler creare un nuovo ordine perfettamente coerente con la loro idea di giustizia. Le idee devono adattarsi alla realtà, altrimenti rimangono pure astrazioni, come le idee platoniche. Grazie al pensiero e ai valori, noi possiamo migliorare noi stessi e il nostro rapporto con gli altri, ma non possiamo stravolgere la natura umana e neppure opporci a certi modi di pensare dominanti e condizionati dai processi politici ed economici. Non si può convincere l'Europa o l'America a rinunciare, ad esempio, alla democrazia, o, come in questo caso, al materialismo. Tuttavia, possiamo fare qualcosa per correggere le derive di un modello unico, quello borghese, che sta diventando totalitario, ovvero pervade e monopolizza le menti degli individui con il mito del successo e del guadagno a qualunque costo.

Ti definiresti un materialista e un consumista?

Sarei ipocrita se negassi di essere anch'io un prodotto del modello occidentale. Faticherei a distaccarmi da certe comodità. Nonostante ciò, cerco di elevarmi spiritualmente, di integrare tutto ciò con una visione culturale più ampia.

Cosa ne pensi dello "stato etico"?

Un'idea ridicola e ripugnante. Sono sempre stato contrario ai modelli etici costrittivi e che danno importanza esclusiva all'aspetto sociale, comunitario, della moralità. Kant era un sostenitore di quel modello: per lui gli esseri umani avrebbero dovuto rinunciare al proprio egoismo riconoscendo che c'è un modello di giustizia unico e uguale per tutti. Un democratico totalitario, per dirla con il pensatore Jacob Talmon.

Nella ricerca di una nostra morale personale dobbiamo tentare di conoscere, prima di tutto, noi stessi, e di perseguire un modello di virtù tagliato su misura, come un abito che è soltanto nostro e di nessun altro. Privatamente, abbiamo un dovere morale solo verso noi stessi e verso la nostra coscienza. Dobbiamo costruirci un'identità personale, un Sé, e per fare ciò abbiamo bisogno di liberarci di certi pregiudizi su ciò che la società considera bene o male, giusto o sbagliato. A livello pubblico le cose cambiano un po'. Lì non siamo più soli con noi stessi. Abbiamo di fronte l'Altro che non ci conosce. Dobbiamo allora dispiegare le virtù comunitarie. Queste virtù, tuttavia, non devono essere convenzionali o formali. Non c'è un solo modo di essere giusti verso il prossimo. Anche in questo caso la ricerca dev'essere libera e sperimentale.

Hai in mente qualche esempio di virtù comunitaria?

Credo che dalla letteratura, dall'arte in generale – soprattutto da quella antica e moderna – si possano ricavare numerosi esempi di quelli che potremmo chiamare "buoni sentimenti". Lo studio dell'arte è, innanzitutto, un'educazione sentimentale.

In conclusione, per quale motivo ritieni impossibile rendere perfetta la natura umana?

Lo ritengo non solo impossibile, ma anche ingiusto. I modelli lineari di giustizia sono sempre costrittivi e violano la libertà di scelta degli individui. Altra cosa sono le leggi, altra cosa è la costituzione: esse servono a dare ordine a una collettività, ma non impongono mai di essere sentite come una componente esclusiva della coscienza privata.

La legge è, in molti casi, il frutto dell'ingegno di uomini saggi e pragmatici, i quali cercano di riconoscere un modello non perfetto, bensì perfettibile, di giustizia e di libertà. Questo lavoro è influenzato dal contesto storico, da esigenze di ordine che in quel dato momento risultano necessarie. La Costituzione italiana, ad esempio, è plasmata sull'antifascismo e su un sistema parlamentare particolarmente rigido e complesso, poiché uscivamo da un tragico periodo di dittatura.

Per concludere, penso che il bene debba convivere con il male, la giustizia con l'ingiustizia, il divino con l'umano. L'essere umano è un laboratorio di idee, di tentativi che a volte riescono, altre volte invece no. E' giusto che sia così. Dobbiamo essere meno severi con noi stessi e con gli altri. Dobbiamo liberarci dall'idea di perfezione e dai modelli etici troppo coerenti. Nella morale non c'è nulla di "a priori", non ci sono necessità di alcun tipo. Ad A non segue per forza B. La morale è un processo creativo, artistico, come un quadro in fase di realizzazione.

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