
L'Occidente esiste ma non è quello che sognavamo
Di Alessandro Cantoni
L'azione compatta dei paesi Nato contro la Russia testimonia la presenza di un Occidente determinato alla riconquista dei suoi spazi vitali e all'affermazione di un unico modello. Già, ma quale? In una recente intervista, la leader del Front National francese, Marine Le Pen, ha parlato di valori giudaico-cristiani e di radici greco-romane. Si può forse dire che oggi la cultura europea sia incardinata su tali princìpi?
In realtà, se analizziamo quanto sta accadendo in Ucraina, ci rendiamo conto che sono piuttosto le strategie economiche ad avere un peso. L'Unione Europea punta ad una rifondazione dei suoi obiettivi di indipendenza energetica rispetto alla Russia, e tale fattore, insieme alla riconversione ecologica, sta provocando un aumento sconsiderato del costo delle materie prime, a causa della crescente domanda di gas naturale ed al progressivo abbandono dei combustibili fossili. Eliminare la Russia dai giochi avrà come conseguenza la perdita di un importante canale di approvvigionamento, a cui seguirà un'alleanza più compatta del Cremlino con il Dragone cinese.
Questo allargamento europeo ad Est, che ha come scopo l'isolamento di Putin, è, insieme all'americanismo, uno dei fattori responsabili della perdita di identità europea.
Per una parte dell'Est Europa, su cui ha pesato notevolmente il retaggio comunista, l'Europa è soltanto una banca centrale da cui attingere nuova liquidità.
L'americanismo è ciò che Martin Heidegger avrebbe potuto tradurre con il termine tecno-capitalismo, ossia una visione strumentale del mondo, a cui si accompagna lo sfruttamento del fondo, dell'ambiente. Tale predisposizione avrebbe determinato - come di fatto è accaduto - un rapporto consumistico nei confronti della realtà. Il neocapitalismo ha i suoi idola tribus (gli idoli della tribù), come la fiducia incondizionata nei propri sensi, nel sensismo, per dirla con Francesco Bacone, da cui scaturiscono false verità. Secondo il filosofo e scienziato del XVII secolo, ciò sarebbe all'origine di un imprigionamento della propria libertà. Il prezzo da pagare è l'autoinganno, l'illusione costante.
L'americanismo determina, sempre secondo Heidegger, una nuova visione del progresso. Esso viene inteso come la novità costante, in cui ciò che è nuovo diventa subito vecchio e viene superato: "Ciò che è nuovo divine sempre più nuovo, più quotidiano, più economico, più fugace, più qualsiasi e perciò necessariamente più chiassoso e invadente. Esso, e con esso tutto il reale, ha ceduto la forza di decisione all'invadenza priva di fondamento". Pensiamo, per fare un esempio, alla vita di ogni giorno. Siamo ormai avvezzi ad un atteggiamento improntato al rigetto, all'esaurimento di ogni bene, alla sua rapida sostituzione.
Il "planetarismo", o uniformità ad un medesimo modello sociale, collettivistico, si accompagna a ciò che Heidegger chiama "idiotismo": la rinuncia alla meditazione, al libero pensiero, "in cui l'uomo moderno ritrova se stesso all'interno dell'ordinamento di massa". Ancora una volta, "l'autentico battistrada della unità di planetarismo e idiotismo, ma anche l'erede a essi autenticamente conforme, è l'americanismo".
Riprendiamo un istante l'affermazione di Marine Le Pen: siamo eredi della tradizione greca. Da quale prospettiva? Se ragioniamo in termini filosofici, dobbiamo pensare alla prosecuzione di una tradizione scientifica. Tuttavia, appare evidente la differenza tra i presocratici - o anche Aristotele - e i moderni. La scienza viene oggi interpretata come "una via per assicurare la sicurezza. Lo sviluppo della scienza moderna e il suo carattere di impresa sono di una incondizionata e perciò irrefrenabile univocità" (Heidegger, Quaderni Neri 1939/1941, Riflessioni XII-XV, Bompiani). Siamo dunque ben lungi da quella curiositas originaria, primordiale, dettata da un amore disinteressato per la conoscenza, dal desiderio di spiegare la realtà, sebbene questo non fosse motivo di perdita dell'elemento sacro, misterioso, mitologico, inconoscibile del cosmo. Il mito era ancora alla base della riflessione logica di Platone: "da un lato la ragione condanna il mito, ed è tenuta ad esorcizzarlo; dall'altro lato la verità non si lascia così facilmente rinchiudere, esclusivamente, nel linguaggio della razionalità concettuale. Platone non è sfuggito a questa ambiguità. La sua preoccupazione primaria era di conferire alla ricerca della verità un rigore dimostrativo e linguistico ancora sconosciuto ai precedenti pensatori; ha sempre manifestato diffidenza verso i poeti, illusionisti e mentitori, e non s'è mai peritato di rigettare la finzione poetica nel novero delle opinioni incerte e sospette. E tuttavia la sua opera è ricca di racconti mitici." (G. Droz, I miti platonici, Delado, Bari 1994, p. 9.)
Per
Aristotele, restava ugualmente una forma di conoscenza, sebbene pre-razionale. Ascoltare
l'Essere significava, in ogni caso, dare voce, attraverso l'intelletto e la
parola, alla verità rivelata, sebbene non vi fosse bisogno di altre spiegazioni
all'infuori delle dimostrazioni sillogistiche.