L'ossessione per il paradosso messo in scena da Fellini

Di Alessandro Cantoni
«Tutto ciò che è reale è razionale». Per anni sono rimasto inchiodato a questo verdetto hegeliano e, solo ultimamente, mi sono accorto della sua falsità. Del resto, un simile sproposito non poteva uscire che dalla penna di un uomo avvezzo alle coccole dall'imperatore di Prussia, a fare colazione alle sei, lavarsi alle sette e mezza, prendere una tazza di tè alle nove.
E invece la vita è un teatro; o è più giusto parlare di teatro della vita? Forse non è vero niente, e voi state solo ascoltando i deliri di un perditempo. O forse sono vere entrambe.
La bellezza del carnevale è proprio questa, che ognuno tira fuori la sua maschera. Non la getta. Al contrario, la esibisce, come fosse un distintivo, ed è quello, forse, il momento più autentico di tutto l'anno. Nessuno sceglie a caso il personaggio o il tipo umano, o animale, con cui identificarsi. A parte i bambini (mi ricordo quando da piccolo mi obbligavano a truccarmi da Mefistofele, per cui provavo una viscerale antipatia) è curioso osservare gli adulti agghindati di mille colori. Freud troverebbe parecchio materiale utile alle sue ricerche. Però, la vita non è solo teatro. Il teatro irrompe nella nostra esistenza. Non siamo noi che ci conformiamo ad esso, ma è lui che ci afferra per la gola. Tutto questo ci insegna Federico Fellini, di cui si celebra il centenario.
Impossibile non amare Fellini per la sincerità con cui comunica ai nostri cuori. Ci piace perché non descrive mondi lontani, onirici, ma parla della terra che calpestiamo sotto i piedi, dell'aria che respiriamo, della gente che incontriamo, con il linguaggio e la purezza della fantasia, e sempre con un pizzico di ironia. Aveva ragione Sordi quando diceva che «la nostra realtà è tragica solo per un quarto: il resto è comico».
Mette in scena l'irrazionale, poiché tutto, nel corso di un'esistenza, concorre a scombussolare i nostri piani. Solo che non lo abbiamo ancora capito, ed è il motivo per cui precipitiamo nel panico se un microbo stronzo ci coglie impreparati. Se proprio Montaigne ci sta sulle scatole e non capiamo una parola di quel che dice, almeno diamo retta al linguaggio universale di quel lucido visionario che è Fellini. Egli ci ha fatto riscoprire il lato umano di ogni personaggio, mostrandocelo per quello che è, senza filtro: è la puttana che trascina con sé il suo scrigno di sentimenti contrastanti, il suo bisogno d'amore e di evasione; il matto di paese; il povero diavolo dall'animo semplice e sincero; il libidinoso in cerca di avventure... Tutta la biodiversità umana si spalanca davanti ai nostri occhi, e ognuno si identifica o simpatizza con chi meglio crede.
Fellini è Ionesco, Beckett e perfino Dostoevskij ne La voce della luna. Nelle vesti di Roberto Benigni, Ivo Salvini è il prototipo del sognatore che riscopriamo nelle Notti bianche dello scrittore russo. Egli non vede il mondo come lo vediamo noi altri. Per lui ogni fatto della nostra realtà assume un valore sempre nuovo. Parla con la luna, si rifugia sui tetti per osservare il cielo. È uno spirito libero che ha imparato a danzare sotto la pioggia, per dirla con Nietzsche. Eppure, proprio per questo, pare inesorabilmente destinato all'emarginazione.
L'umanità è assurda, corre a osservare la luna che un contadino dice di avere catturato e portato in un casale. Una folla intera si raduna nella piazza per vedere dal maxischermo questo portentoso satellite. Perfino le autorità accorrono per il celebre avvenimento. Qualcuno piange; altri pregano e rivolgono suppliche alla luna. Alcuni la maledicono, mentre altri la benedicono. Tutto però finisce in farsa, così com'è iniziato, quando un uomo, accecato della rabbia, spara contro lo schermo.
Il film che viene ora riproposto in edicola, Prova d'orchestra, uscito nel '79, mette in rilievo un altro aspetto: tutto è un teatrino, in cui ciascuno è protagonista del proprio piccolo cinema interiore, fatto di finzioni. A questa messa in scena corrisponde però l'esigenza di essere quel che si ha da essere, come direbbe D'Annunzio. La vita è isteria, eterno nervosismo. Ma all'esigenza di nascondere si affianca quella più umana di esternare una verità amara.