L'uomo che non voleva morire fascista

23.05.2020

In occasione dell'anniversario di morte (22 maggio 1988) del più volte segretario del Movimento Sociale Italiano e del MSI-DN, riproponiamo questo articolo di Alessandro Cantoni, pubblicato su Libero il 23 gennaio 2020. 

In un paese normale, si dovrebbe imparare a fare i conti con il proprio passato. L'Italia va da sé, alla deriva; non accoglie gli insegnamenti della storia, ed anche la politica si alimenta di semplificazioni al limite del negazionismo. Non può che suscitare perplessità la polemica scatenata contro il Comune di Verona per la scelta di intitolare una strada al grande uomo di Stato, Giorgio Almirante. Fossi nel sindaco, ignorerei le voci del coro e renderei omaggio ad un illustre personaggio che ha traghettato la destra post-fascista verso un conservatorismo antifascista, aggiornato rispetto alle contingenze storiche (l'Msi-Destra Nazionale). Chi continua a vedere in lui un fascista, un fucilatore di partigiani, o addirittura un razzista, è in malafede o del tutto ignaro. La personalità di Almirante fu complessa, connotata da un'assoluta sensibilità e viva intelligenza. La sua gioventù fu segnata da una serie di eventi e di scelte che, alla luce del presente (il che non è complicato), sono certamente condannabili. Non possiamo, del resto, biasimare un uomo figlio del suo tempo, ovvero di un'epoca in cui la libertà in senso moderno ed i diritti civili non esistevano propriamente. Crebbe nel fascismo e aderì con assoluta sincerità ai suoi dettami. Collaborò entusiasticamente con Telesio Interlandi, scrivendo sul Tevere, uno dei quotidiani più vicini al Duce. Fu - è vero - segretario di redazione del fascistissimo e antisemita periodico La difesa della razza

In Almirante, tuttavia, si possono distinguere almeno tre fasi. La prima, appunto, quella del convinto fascista, che durò sino alla fine della guerra e si protrasse con l'esperienza della Repubblica sociale. Negli ultimi anni del regime, Almirante rivestì la funzione di capo di gabinetto al Minculpop, ovvero il ministero della Cultura popolare presieduto da Ferdinando Mezzasoma. Una seconda fase è quella che si apre con il Movimento Sociale italiano delle origini, di ispirazione sostanzialmente neofascista. Le radici ideologiche, sebbene sempre più fievoli, sopravvivono sino al 1972, quando nasce il Movimento Sociale - Destra Nazionale ed ha inizio la terza fase almirantiana. Con il nuovo organismo, si può dire che ogni riferimento all'era mussoliniana sia definitivamente tramontato. L'ala più moderata, facente riferimento ad Arturo Michelini, ebbe il sopravvento. La decisione di trasformare il Movimento in un'organizzazione della destra sociale apparteneva, pertanto, al segretario Giorgio Almirante, il quale auspicava la nascita di una destra conservatrice, non fascista.


Il leader aveva già da tempo abbandonato le iniziali posizioni antisemite, addirittura sostenendo, negli anni a venire, la causa d'Israele. Nel 1971, in un'intervista, definì la battaglia di Israele come una battaglia «coraggiosa e civile». Disse ciò che, tutt'oggi, le sinistre faticano ad ammettere, e cioè che si trattò di una «battaglia di pochi contro molti, una battaglia per la libertà di cittadini che hanno il diritto di vivere in pace nel proprio paese». Per queste dichiarazioni, venne aspramente criticato da Julius Evola, teorico del razzismo spirituale e della corrente idealista.

Considerando la vita di Almirante alla luce del presente, sarebbe non soltanto giusto, ma educativo rendere omaggio ad un uomo che ha saputo mutare sinceramente la propria posizione, riconoscendo addirittura il valore della Resistenza e della libertà. Un'ammissione che può risultare facile a noi contemporanei, ma che non è affatto scontata per chi ha combattuto a fianco del truce. Se si avesse ancora del coraggio ed un minimo di onestà intellettuale, non vi sarebbe alcuna reticenza nel rimuovere quella patina di damnatio memoriae che continua ad intorpidire la sua immagine.

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