Mani Pulite e il fallimento della rivoluzione liberale

14.05.2021

Di Alessandro Cantoni

L'Italia è la Repubblica dei paninari, sulle cui spalle campano i più furbi. L'italiota è il paninaro, ossia un individuo politicamente innocuo, pronto a scaldarsi nel momento della vittoria, per poi abbandonarsi ad un facile, sommario giudizio quando si fa avanti un altro mito. Il mito, negli anni Novanta, fu condizionato da un pool di magistrati, che buttarono a monte (nel bene e nel male) l'esperienza di interi decenni. Poiché i paninari hanno memoria corta, si sono lasciati trasportare dal desiderio di manette, dal boia che espone al pubblico ludibrio corrotti e corruttori. Di più. Pensarono di essere entrati in un'era nuova, in una pacifica rivoluzione di proporzioni inaudite, e forse più significativa di quella avvenuta nel Sessantotto. I furbi, invece, cavalcarono l'onda di un popolino minuto paralizzato dal desiderio di fare piazza pulita e bramoso di sangue amaro. Tale è la dimostrazione che in Italia non esiste democrazia (in politica le pulizie le fanno sempre i pezzi grossi, non i cittadini) e che ogni rivoluzione è fasulla perché raramente animata da interesse nazionale e apportatrice di un reale cambiamento.

Mani pulite si rivelò una gigantesca bolla di sapone, in cui meno del 30% degli arrestati (che furono 4525) vennero condannati definitivamente (1300). Tale stagione - gli anni Novanta - si macchiò delle tinte fosche del giustizialismo da Inquisizione e dell'ipocrisia.

L'Italia è il paese delle eterne balle, delle finte rivoluzioni. Ma c'è sempre una massa di pecore pronta a credere nella Causa, a volte per stupidità, altre volte per mancanza di realismo, altre volte ancora per ipocrisia. Molti di questi sono i voltagabbana della Seconda e Terza Repubblica, che sguazzarono felicemente nella Prima, tra un Andreotti ed un Bettino Craxi.

Un caso emblematico, certo il più famoso, dell'inchiesta Mani Pulite, riguardò il caso Enimont.

Parve che improvvisamente l'Italia si fosse risvegliata da un sogno, anzi un incubo, ossia quello dei finanziamenti illeciti ai partiti.

Vista la natura del processo, tuttavia, si potevano impiegare ben altri metodi anziché la persecuzione giudiziaria o l'individuazione di capri espiatori, al limite dell'accanimento e dell'odio personale. Ciò è stato profondamente ingiusto ed ingeneroso. La svolta era sì necessaria, ma avrebbe dovuto svolgersi secondo modalità ben diverse. Gli errori più clamorosi riguardarono, infatti, eccessivo risalto mediatico dei processi, spettacolarizzazione, populismo e brama giustizialista, non sempre disinteressata, la quale condusse al banco degli imputati centinaia di innocenti, poi assolti. Non dimentichiamo che, nel frattempo, molti furono coloro i quali si tolsero la vita.

Per sradicare un sistema, tuttavia, occorreva molto più di un processo ai singoli. Bisognava scardinare realmente il principio del finanziamento illecito ai partiti, trasformandone la natura stessa, ossia quella di associazioni clientelari che tenevano insieme il potere particolaristico e quello statale. L'unico modo di agire correttamente era quello di aprire efficacemente il mercato ad un maggior numero di soggetti economici, evitando la concentrazione di potere nelle mani di un'oligarchia di magnati.

Ciononostante, sarebbe parimenti ingeneroso non riconoscere i meriti che ebbero gli istituti di governo pubblico nella gestione dello sviluppo economico e del capitalismo italiano.

L'errore dei magistrati fu l'arroganza con cui si scagliarono contro un sistema vecchio, indubbiamente malato, e che è stato colpito semplicemente perché, dagli anni Settanta-Ottanta, stava cessando di funzionare.

Al posto dei partiti della Prima Repubblica sono subentrati quelli della Seconda e, ora, della Terza, sfamando altresì un po' di bocche e facendo campare molti somari che si sono riempiti le tasche con la retorica dell'onestà. La rivoluzione liberale, promessa da Mani Pulite, non è mai avvenuta. E' vero, la partitocrazia è morta, non ha più il potere di una volta, ma nuovi fantasmi si aggirano nelle stanze del potere: i togati che gestiscono nomine mentre fanno il bello ed il cattivo tempo. 

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