Manifesto politico e culturale della libertà

02.05.2024

Di Alessandro Cantoni

Non esiste felicità senza libertà: non la libertà vuota di chi non ha nulla da fare o niente a cui pensare, bensì la libertà intesa in senso positivo. Qualsiasi altra definizione di libertà non ha alcun valore ontologico.

Non è vero che la "beata ignoranza", come viene generalmente concepita, rende più felici. In un mondo complesso come quello moderno, nessuno può o dovrebbe permettersi il "lusso" dell'ignoranza.

Non soltanto lo Stato o le istituzioni devono occuparsi di promuovere la libertà positiva dei cittadini, ma la società intera è investita in questo processo: privati cittadini, imprese, organizzazioni comunitarie, ecc. L'impegno per la libertà dev'essere tenace e costante: la società contemporanea, fondata su orari di lavoro inflessibili e condizioni di vita spesso a livello di "minimi di sussistenza" abbruttiscono l'individuo sino a renderlo un soggetto privo di consapevolezza di sé e di autostima: automa, macchina produttrice di beni materiali o di servizi e spersonalizzata. Non è sufficiente, pertanto, una riforma politica del nostro sistema economico e sociale, bensì occorre una vera e propria riforma morale, dove le esigenze del profitto si congiungano ad un'aspirazione più elevata circa la libertà di autodeterminarsi dell'uomo.

La riforma morale è difficile da realizzarsi in un contesto dove prevalgono forti diseguaglianze sociali, divergenti e spesso conflittuali interessi di classe. La politica ha il compito di intervenire nella gestione di tali rapporti, evitando eccessivi squilibri tra le persone e regolamentando quelle tante "mani invisibili" della finanza internazionale che hanno il potere di incidere su e spesso a scapito della vita altrui.

Posti questi obiettivi, che non sono affatto semplici da raggiungere, ma che richiedono nondimeno la partecipazione attiva, attraverso l'esempio, di ciascuno di noi, nonché un cambio di mentalità che può essere conquistato solo gradualmente, senza rivolgimenti rivoluzionari o progetti utopisti, s'impone alla nostra attenzione se l'ignoranza liberatoria verso la quale spinge una buona parte dell'opinione pubblica sia una soluzione effettiva e convincente ai problemi dell'attualità e della felicità personale.

Ritengo che un individuo sia felice solamente quando è libero, ovvero quando ha una concreta responsabilità. La responsabilità non è un fardello di cui liberarsi, bensì la conditio sine qua non per poter prendere in mano la propria vita. Ignoranza è sinonimo di livellamento, di adeguamento nel peggior senso del termine: accondiscendenza verso modelli sociali imposti e precostituiti, dei quali ignoriamo il meccanismo. E' l'ignoranza, o mancanza di Cultura, che spinge al conformismo, all'intolleranza, all'incomprensione. La Cultura deve dunque farsi militante, ossia agire sul nostro pensiero e produrre azioni conformi a tale pensiero. La Cultura non è erudizione: l'erudizione non svolge alcuna funzione attiva; caso mai, serve a perfezionare la nostra memoria o ad accrescere una curiosità scolastica, talvolta pedante, verso certi temi.

La Cultura è tale se e soltanto se opera un cambiamento interiore, concreto, nei confronti della realtà: è, aristotelicamente, "pensiero di pensiero" o, hegelianamente, "autocoscienza assoluta", "Ragione".

L'istruzione ci pone di fronte a numerose questioni d'interesse generale: la spiritualità religiosa; i rapporti politici e sociali tra gli uomini; le questioni tecniche, matematiche, scientifiche; le libertà economiche, ecc.

Nulla ci impedisce di ignorare tutto questo e di vivere tranquillamente, ma che tipo di società e di individuo verrebbe a formarsi in tal modo? Una società fondata sull'ingiustizia, poiché i meno sapienti mancherebbero di quegli strumenti idonei a farsi strada nel mondo, a migliorare la loro posizione sociale, a combattere per i propri ed altrui diritti. Sul piano individuale, verrebbe meno quella dignità umana che fa di ognuno un centro ed una fonte di progresso. Non resterebbe più nemmeno un individuo, bensì una semplice entità materica, organica, non diversa da una pianta o da un animale dotato di solo istinto: è questo il sogno di ogni società totalitaria, fascista o comunista, la quale ha bisogno che ciascuno si disprezzi o si sminuisca per credere a una verità superiore: lo Stato, il capo di governo, un'élite di santi o di scienziati, ecc.

La prima tappa da conquistare è dunque la comprensione: è necessario conoscere, capire il più possibile (ogni branca del sapere è, a tal riguardo, fondamentale: sia quella umanistica sia quella scientifica). Comprendere significa afferrare un determinato meccanismo, il funzionamento di una cosa, non solo in senso tecnico. Il secondo passo è costituito dalla formazione di idee personali: dopo che il soggetto ha analizzato una determinata questione, se ne fa un'idea propria, unica (anche se magari condivisa da altri) proprio perché frutto di un travaglio interiore, di una riflessione dialettica che ha accompagnato la formulazione di una tesi finale. Infine, il traguardo di questo processo conoscitivo è l'autocoscienza, ovvero la piena e assoluta identificazione con sé stessi: il riconoscersi come unità uniche e indivisibili: come Soggetti, come Individualità anziché come semplici sottoposti. La conoscenza non ci domina, bensì noi dominiamo lei. Un Io forte è perciò responsabile, non si sottrae alla riflessione, è sicuro di sé senza per questo essere arrogante o prepotente. La sua individualità è anzitutto moralità e la morale deve tener conto dell'etica per non creare nuove ingiustizie. L'Io forte è un Superuomo che non abusa del proprio potere, bensì per realizzare sé stesso in una società che dia la possibilità di crescere a tutti gli altri Soggetti presenti in essa.

Un Io debole, viceversa, è deresponsabilizzato, incosciente e "libero come l'aria". Ma a che gli serve questa vita priva di legami, di pensieri, di azioni guidate da un'idea? L'impotenza, prima o poi, lo coglie; la vulnerabilità è l'unica sua costante. C'è di più e di peggio: un Io debole è un male e un pericolo per la società: china la testa, passivamente, di fronte alle ingiustizie; può essere a sua volta fonte di ingiustizie verso il prossimo, sebbene lui stesso non ne sia consapevole (di fatto chi è ignorante non sa di fare qualcosa di sbagliato, di ingiusto); infine, e non da ultimo, manca al dovere più importante: l'essere giusto verso sé stesso. Ma tale giustizia non può realizzarsi nell'ignoranza e nel conformismo.     

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