Nessun cedimento alla sinistra

07.06.2023

Di Alessandro Cantoni


STATO CIVILE E ANARCHIA:

Uno Stato può essere definito civile quando i suoi cittadini sono consapevoli di partecipare alla vita di quell'organismo chiamato comunità nazionale. Il senso civico non è altro che senso della responsabilità individuale nei confronti di una società in grado di condividere valori, storia e tradizioni; lo Stato – inteso come strumento di governo - deve parimenti impegnarsi a non interferire con l'iniziativa economica privata.

Lo Stato italiano vive da sempre in una crisi di coscienza o, meglio, di identità. Nato dallo strapotere di un regime non proprio liberale, si è inevitabilmente trasformato in una macchina, in un apparato che ha sempre favorito gli interessi di una determinata classe sociale: i fautori dello Stato organico, ossia una sorta di lobby in conflitto con la società civile medesima. Non è un caso che i posti di potere siano stati occupati sistematicamente da una certa classe politica, lasciando poco spazio alla democrazia. Scuola e magistratura, per fare degli esempi.

Il tessuto civile, dal canto suo, si è organizzato come ha meglio potuto, indipendentemente dallo Stato-apparato. Questo fatto, verificatosi dopo l'unità d'Italia, ha esacerbato negli anni il dualismo tra cosa pubblica e vita privata, ed ha alimentato il sentimento di irresponsabilità. A ragione possiamo dire di non vivere in uno Stato civile, bensì in una sorta di anarchia in cui cittadini e governo non sanno più quali siano i propri doveri.

Uno Stato liberale ha il compito di difendere le proprie istituzioni e di far sì che i suoi cittadini vi si riconoscano. Questo non avviene, né potrebbe, del resto, verificarsi. In Italia si è infatti instaurata la convinzione che gli individui restano del tutto indipendenti e devono difendersi dalle istituzioni.

Il fascismo fu l'unico regime che avrebbe dovuto aprire le porte, in futuro, ad una democrazia matura, ma il cui esperimento si rivelò un totale fallimento. Esso avrebbe dovuto instillare un sentimento nazionale condiviso e, gradualmente, trasformare se stesso in uno Stato democratico e parlamentare. Naturalmente i fatti storici smentiscono tutto questo, ma si tratta di una mia semplice supposizione idealistica.

Arriviamo al punto. Dal momento che non c'è nazione, non esiste nemmeno senso di appartenenza e condivisione di valori comuni.

IL SESSANTOTTO E IL PRESENTE:

Un duro colpo alla vita civile fu inferto dalla pseudo-rivoluzione sessantottina: venne dichiarata una vera e propria guerra alle istituzioni e si acuì il senso di divisione all'interno del Paese. La propaganda politica della sinistra continua a creare danni in questo senso: i cittadini si ribellano mentre la politica progressista sfrutta le frustrazioni dei "compagni" per assecondare ogni richiesta di nuovi diritti civili.

Questa propaganda di libertinaggio rende ancor più fragile la nostra comunità, avviandola ad un destino più precario. Da Repubblica ci accingiamo a diventare terra di tutti e di nessuno.

Fare leva sulle libertà civili in questo frangente storico è, pertanto, molto pericoloso, poiché tale progetto può essere attuato solo nel momento in cui la collettività è in grado di darsi una solida organizzazione interna. Nei paesi più civili, i cittadini sviluppano una coscienza comunitaria tale da rendere possibile il riconoscimento di nuove libertà sui temi etici.

In Italia, viceversa, le richieste di apertura relativamente alle suddette questioni derivano da un isterismo di fondo che non è altro se non la stupidità ostinata di chi vilipende la comunità.

I passi da compiere sono molti, e certamente non è questo il momento storico opportuno. Le istituzioni non possono e non devono cedere di fronte alla tirannia dei progressisti: nemici della nazione e fautori del caos sociale, della discordia, dell'anarchia dei diritti senza doveri.

Fa bene Giorgia Meloni e, in generale, il partito conservatore, a ribadire il proprio schieramento verso una linea più tradizionale e intransigente. Anche se questo metodo può essere interpretato come autoritario, è il solo che possa garantire la difesa delle istituzioni nell'istante stesso in cui vengono costantemente prese d'assalto.

Invito la sinistra – sebbene tale richiesta sia destinata a rimanere lettera morta – a rinunciare alle proprie posizioni radicali nell'interesse della nazione. La disperazione di Elly Schlein fa sì che il Partito Democratico si rivolga agli unici che potrebbero ancora ascoltarla: i giovani disorientati in cerca di uno sfogo per vedere riconosciute le proprie egoistiche pretese.

Da liberale, mi permetto di rivolgere loro un invito: vivano la propria vita come meglio credono (come facciamo tutti, a destra e a sinistra), senza però ricattare lo Stato con certe pretese. La politica è una cosa seria e richiede razionalità, capacità di governare i processi storici con ordine e cognizione di causa.

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