
Per un nuovo umanesimo
Di Alessandro Cantoni
Sapete che cosa c'è di affascinante nel tardo romanticismo e nel crepuscolarismo? In tutte le cose aleggia un senso di morte e di disfacimento. Non la morte oggettiva, fisica, ma in senso simbolico. Per Guido Gozzano, morire è rinascere. Si muore ogni volta che si entra nel sogno, nell'idillio, ma allo stesso tempo si incespica in una vita parallela.
Omero conosceva il fiore bianco, salvifico, dalla radice nera: il moly che liberò Odisseo dalle insidie di Circe: «Mi porse il farmaco, dalla terra strappandolo e me ne mostrò la natura. Nero era nella radice e il fiore simile al latte. Gli dei lo chiamano moli e per gli uomini mortali è duro strapparlo: gli dèi però possono tutto».
Dante attraversò l'inferno prima di giungere a contemplare la lux, ossia quella luce sussistente in sé e per sé, fuori dallo spazio e dal tempo, che sola restituisce la letizia derivante dalla fusione di volontà individuale e divina.
La vita scorre sull'orlo dell'abisso secondo Edgar Allan Poe. Come il Maelstrom, che depreda tutto lungo il cammino e inghiotte la vita nel suo vortice stritolatore. Rigurgita carcasse ormai in frantumi, ma un marinaio riesce a sopravvivere, e tale esperienza cambierà per sempre la sua esistenza. La discesa negli inferi è terrificante e allo stesso tempo sublime: "Non potrò mai dimenticare il senso di terrore arcano, di orrore, di meraviglia che mi afferrò non appena volsi lo sguardo a contemplare lo spettacolo che mi circondava", scrive lo stesso autore del racconto Una discesa nel Maelstrom.
Malgrado la critica parli spesso di disfattismo o di pessimismo, non dobbiamo cedere a letture troppo semplicistiche o a etichette di sorta, ma capire che dal male, spesso, nasce, se non proprio il Bene, qualcosa di nuovo, simile all'alba bianca che irrompe nella "società dell'ideale roditore" di Baudelaire: "dans la brute assoupie un ange se réveille".
L'epoca in cui viviamo assomiglia, indubbiamente, al Maelstrom devastatore - e neanche tanto sublime -. Alla crisi culturale e sociale segue quella politica, accompagnata da disillusione e sfiducia nel futuro. Tuttavia, anche in tale contesto non dobbiamo dimenticare che l'umanità trova sempre i mezzi per preservare se stessa dalla miseria e dalla sopraffazione.
La conclamata inettitudine della classe politica spinge la società a rafforzare il senso della propria individualità. Mai come oggi, il motto "vizi privati, pubbliche virtù" risulta tanto vero.
Lo Stato, lungi dall'essere il grande artista, ha dichiarato manifestamente il proprio fallimento: disavanzo pubblico, impotenza di fronte al neocapitalismo finanziario, alla globalizzazione. La classe politica rappresenta la morte della creatività, dello sviluppo. Non a caso i ruoli di maggior rilievo sono ricoperti da cariche spesso mediocri e poco brillanti.
Indro Montanelli aveva preannunciato il fallimento del nostro Stato quando disse che vedeva un grande futuro per gli italiani ma non per l'Italia. Gli italiani conoscono il savoir faire, non cedono al vittimismo, e quando tutto sembra ribaltarsi, si rimboccano le maniche. E' un dato di fatto, incontestabile. Ogni grado di progresso economico è stato raggiunto grazie a centinaia di migliaia di imprenditori, piccoli, medi e grandi, capaci di unire le forze e dare vita al proprio sogno di benessere. L'italiano è homo faber, produttore e produttivo. Solo lui salverà il paese dall'inarrestabile declino.
Il mio consiglio, pertanto, è di lasciare andare alla deriva la ciurma di pirati alla guida della nave Italia, e di dedicare i propri sforzi a migliorare se stessi, anche rafforzando quelle antiche virtù come la perseveranza, la tenacia e il risparmio, capaci di dar vita alle opere più ingegnose e utili.
E' questo il tempo per un nuovo umanesimo, una nuova dignitas hominis, per dirla con Burckhardt:
"Nel Medioevo [...] l'uomo
non aveva valore se non come membro di una famiglia, di un popolo, di un
partito, di una corporazione, di una razza o di una qualsiasi altra
collettività. L'Italia è la prima a squarciare questo velo e a considerare e a
trattare lo Stato e, in genere, tutte le cose terrene da un punto di vista
oggettivo; ma al tempo stesso si risveglia potente nell'Italiano il sentimento
del soggettivo: l'uomo si
trasforma nell'individuo spirituale, e come tale si afferma [...].
Ciò che vi contribuì grandemente fu senza dubbio il fatto che qui, prima che
altrove, s'era acquistata una conoscenza
più seria e più perfetta dell'uomo e dell'umanità nella loro profonda essenza.
Basterebbe questa sola conquista del Rinascimento per imporci un obbligo di
eterna riconoscenza. Un concetto logico e astratto dell'umanità s'era avuto da
tempo antichissimo, ma il Rinascimento ne conobbe la realtà. Le più alte intuizioni a questo riguardo
trovansi espresse da Pico della Mirandola nel suo discorso sulla dignità
dell'uomo [...]" (Cfr. J.
Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, trad. it.
di D. Valbusa, Firenze, Sansoni, 1955)