Per una nuova alleanza con la Russia di Putin

22.12.2020
Bush e Putin
Bush e Putin

I GIORNI DELLA CADUTA DELL'URSS 

Di Alessandro Cantoni

E' proprio in questi giorni che si celebra l'anniversario dello scioglimento dell'Urss, avvenuto nel 1991, e la conseguente nascita della Federazione russa.

Tale evento ha costituito un'importante opportunità per il mondo Occidentale, in particolare quella di stringere nuovi legami commerciali.

Ancor oggi, tuttavia, i rapporti con il gigante Eurasiatico restano particolarmente travagliati. Le ragioni per cui ciò non è conveniente sono state ben sintetizzate da Alessandro Carocci in Rinascita di un impero. La Russia di Vladimir Putin, e che riprendiamo per coerenza.

Il gas russo, fornito in larga misura dalla compagnia Gazprom, copre il 30% del fabbisogno europeo e si rivela di interesse vitale soprattutto per il nostro paese. Parimenti, la Russia conta sul nostro mercato comune per l'acquisto di idrocarburi. Per il rifornimento di gas, sempre più urgente nel momento in cui l'economia volge 

in direzione del green, la Russia mantiene il ruolo di partner più affidabile. La Norvegia non è in grado di sostenere la nostra domanda, mentre l'instabilità politica del Maghreb, in particolare della Libia, rende vane le aspettative di chi vorrebbe puntare sul Nord Africa. Nel corso di questi ultimi decenni, tuttavia, viste le difficoltà diplomatiche incontrate con l'Unione Europea, Putin si è rivolto soprattutto verso Oriente, in particolare la Cina. Solamente per quanto riguarda i gasdotti, buona parte di essi si trovano oltre la catena degli Urali e approdano a Skorovodino.

Le numerose sanzioni applicate da Bruxelles nei confronti di Mosca, spingono quest'ultima nella direzione opposta, cioè verso Pechino, e ciò potrebbe generare pesanti ripercussioni sul nostro sistema di mercato e sulla nostra economia. Un segnale particolarmente controproducente è stato lanciato con la bocciatura del progetto del South Stream, il quale avrebbe permesso alla Russia di indirizzare i propri gasdotti verso l'Europa senza attraversare i paesi non comunitari avversi al Cremlino. Le conseguenze di queste lacerazioni e sanzioni si sono già manifestate con l'accordo siglato con la Cina per il "Power of Siberia", volto a trasportare 38 milioni di metri cubi di gas per trent'anni.

Gli accordi non riguardano soltanto il Dragone, ma, in generale, si estendono all'Unione economica eurasiatica, di cui fanno parte Bielorussia, Kazakistan, Armenia, Kirghizistan.

Le principali fratture con la Russia dipendono dalla politica espansiva della Russia e, in particolare, dalla crisi Ucraina. Tuttavia, bisogna rilevare l'impossibilità di condannare in maniera definitiva l'aquila bicipite per le instabilità prodottesi nel territorio indipendente dal 1991.

Bisogna rilevare, in primo luogo, le grandi difficoltà sorte in seguito al rivolgimento verso Occidente. Problematiche che affondano le radici in motivi di natura storica e strutturale. In secondo luogo, la popolazione ucraina è da sempre divisa in correnti russofile, indipendentiste e di etnia russa.

La crisi è nata nel 2004, in seguito alla contestazione del neopresidente Yanukovich, politicamente affine alle direttive moscovite. Ad aizzare le proteste vi furono, secondo l'analisi condotta da Francesco Carlesi, influenti associazioni e Ong statunitensi. Di nuovo, possiamo constatare un intervento dell'amministrazione Obama dieci anni dopo. A parlare di pressioni diplomatiche e non del tutto chiarite infiltrazioni esterne è John J. Mearsheimer per il Foreign Affairs del 31 dicembre 2014, mentre più esplicita risulta la testimonianza dello storico Eugenio Di Rienzo in Il "cuore antico" della crisi ucraina. Il governo provvisorio istituito a Kiev sarebbe infatti espressione della volontà euro-americana. Parlando di alcune figure chiave nel nuovo governo, tra cui Natalia Jaresco, neo ministro delle Finanze, Aivaras Abromavicius, all'Economia, e Alexander Kvitashivili, Carlesi scrive (sempre nel saggio Rinascita di un impero): "Tre nomine che nascono (secondo indiscrezioni riportate, tra gli altri, dal Sole24Ore) da una selezione ristretta effettuata da due società (...) entrambe sostenute economicamente da (...) un network (...) finanziato da George Soros, già nel 2004 attivo nel quadro della 'Rivoluzione arancione'". Inoltre, sempre secondo tale studio, le nomine dei tre sarebbero state "favorite anche dalle pressioni del vice-presidente americano Joe Biden". In sostanza, la Russia continua a fare paura, soprattutto da quando non è più una realtà economica di secondo piano ed è in grado di fare concorrenza agli Stati Uniti. Questi ultimi insistono per presentare Putin come un fascista, un imperialista del nuovo millennio, ma all'Europa conviene in primo luogo vagliare le ragioni di Mosca, cercare di comprenderle, e mantenere una pacifica collaborazione nel quadro di un multipolarismo commerciale che non leda gli interessi nazionali.      

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