Perché il nichilismo fa tanta paura

06.11.2022

Di Alessandro Cantoni

Il nichilismo è l'accettazione di un non-senso: "Nell'infinità del tempo, nell'infinità della materia, nell'infinità dello spazio si distacca una bollicina che è l'organismo, e questa bollicina si mantiene per un po' e poi scoppia, e questa bollicina sono io", pensa Levin, uno dei tormentati protagonisti del romanzo Anna Karenina (Lev Tolstoj).

A prima impatto, questa dichiarazione suona scandalosamente sconfortante. Levin stesso, il nichilista, non si accorge del privilegio derivante da questa straordinaria scoperta: "bisognava liberarsi da quella forza. E la liberazione era alla portata di ognuno. Bisognava spezzare quella dipendenza dal male. E c'era solo un mezzo: la morte."

Se la vita si spoglia di ogni verità, non resta che vivere nella menzogna. La vita è un palcoscenico in cui gli dèi sono spettatori e gli uomini attori. Questo pubblico extraterrestre, che ci assiste da remoto (o forse da vicino?) è piuttosto esigente. Vuole vederci recitare e non intende annoiarsi. Perciò trasforma spesso noi, le microscopiche bollicine, in attori inconsapevoli di commedie, drammi e tragedie. Gli dèi non gradiscono spettacoli monotoni, sempre uguali, e talvolta, sadicamente, aggiungono sale, pepe, peperoncino ed altre spezie al nostro impasto.

Fermiamoci un attimo. Ecco che arriva la prima obiezione:- ma come! Si parla di non-senso, e già spunta l'ombra di divinità. Sento puzza di metafisica! -. Vero, chiedo scusa, forse vado troppo di fretta. Non è mai bello iniziare un'argomentazione filosofica con una contraddizione. Ma, un momento... Non avevamo detto di vivere nel non-senso, nella menzogna? Tanto vale dunque divertirsi un po' e inventare, giocare con l'immaginazione. Scusate, ma la mia fantasia parla ancora la lingua dei titani e delle divinità uraniche.

Scherzi a parte: le parole sono soltanto suoni, segni, significati soggettivi. Forse siamo noi a prenderle troppo sul serio. Siamo così presi dalla smania di argomentare e di scoprire, che ci siamo dimenticati la sola verità: siamo noi ad aver creato quelle parole, siamo noi ad averle colmate di SENSO.

Ma se le cose stanno in questi termini, possiamo riscrivere tutto il vocabolario universale della semantica. E non è detto che debba essere un eminente professore a suggerirci la soluzione. Tutti noi abbiamo un nostro vocabolario prêt-à-porter.

Il non-senso fa paura. Levin ne è terrorizzato e medita il suicidio. Cerca risposte nella religione, ma non le trova: il demone socratico, con le sue corna aguzze e una sottile ironia dipinta sul viso, è più forte dell'Arcangelo Gabriele o dell'Angelo in lotta con Giacobbe.

Schopenhauer, prima ancora di Nietzsche, ha messo in luce l'unica verità. In termini tecnici, è il noumeno. Brutta parola, ne convengo. Vuol dire la-cosa-in-sé. Ancora meglio: l'unica realtà. E qual è questa sola realtà? Risposta: la Volontà. Non ha detto l'anima (concetto troppo generico), ma la Volontà. Come se la capacità di scegliere fosse qualcosa che noi tocchiamo con mano e vediamo chiaramente. Tutti noi sappiamo di avere una volontà: un centro di controllo nel nostro cervello. Tutti i nostri pensieri, i nostri paroloni, ma anche, banalmente, le nostre idee elementari sulla vita, sullo spazio, sul tempo, derivano da quella cosa chiamata, a rigor di termini, intelletto. Sono rappresentazioni, immagini costruite ed elaborate dall'intelletto. Dov'è, dunque, l'oggettività? Non esiste. Che si chiami intelletto, spirito o anima, fatto sta che siamo sempre noi a dare un senso alle cose. Per questo, scriveva Schopenhauer, viviamo in un mondo fatto di sogni, di illusioni.

Faccio una pausa e riprendo fiato. Sembra tutto così astratto, e invece è molto concreto. Pratico, oserei dire. Le parole servono solo a darci un tono, ma la filosofia dice cose elementari, quasi intuitive. I paroloni servono solo a dare una patina di rispettabilità a ciò che può scoprire anche l'uomo della strada. Però sapere che qualcuno ha speso anni della propria vita a dare un fondamento a queste scoperte ci rassicura e ci convince del fatto che, sì, stiamo dicendo cose serie, e non vogliamo parlare come dei tapini qualunque!

Concludo. Tutta la premessa era necessaria per arrivare al dunque. Certe questioni mica si possono liquidare in due minuti...

Se tutte le nostre conoscenze non sono altro che fantasticherie più o meno serie, più o meno importanti per il progresso umano e scientifico, com'è che le prendiamo tanto sul serio e divengono, per qualcuno, motivo di tormento?

Rispondere non è semplice, ma credo sia giusto quel mito di Platone, raccontato nel Simposio, che spiega, in maniera poetica - e quindi degna di assoluta considerazione - ciò che l'uomo è: una misera bollicina (cito Tolstoj) che però non accetta di scoppiare. Si vuole a tutti i costi la Verità, ed ecco che nasce un nuovo amore, mai visto prima e più sublime di quello per una donna, un fiore o qualunque altra cosa: l'amore per la Verità. Gli scienziati, i poeti, i matematici... tutti amano la verità e credono di trovarla in forme diverse. Io preferisco gli edonisti. Armati della più profonda saggezza (il nichilismo, appunto), creano per il puro gusto di farlo: l'arte per l'arte. Si illudono, certo, e amano illudersi. Si accostano alla vita sorridenti, le danno una gomitata scherzosa e dicono: - Ehi! Perché non ci burliamo l'uno dell'altro? -. La vita dell'artista è un unico, eterno carnevale, ma è la sola reazione che valga la pena di considerare. E, lo dico sottovoce per i giudici più severi: è la filosofia più seria che conosca! 

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