Perché la giustizia non sia solo una convenzione
Per i contrattualisti si ha ragione di essere giusti solo se anche gli altri sottoscrivono un contratto. In questo senso, tuttavia, la giustizia è una mera convenzione e non una disposizione psichica interiore. Compito della politica è quello di dimostrare perché essere giusti procuri un qualche vantaggio personale e giovi anzitutto a sé stessi.



Di Alessandro Cantoni
I tempi odierni ci pongono di fronte al dilemma del rispetto delle leggi. Ad insegnarci la loro utilità ha contribuito la cultura contrattualista nel corso dei secoli, ma la funzionalità oggettiva non sembra un criterio di per sé evidente ad infondere lo spirito dello ius dentro il cuore, oltre che a livello razionale.
Oggi, una delle missioni storiche della Destra dovrebbe consistere proprio nella ricerca di quel criterio psicologico, soggettivo, che sta alla base di un approccio corretto verso lo statuto giuridico. In breve, occorre creare il presupposto per cui rispettare la legge non sia soltanto utile agli altri, bensì consenta di trarre un beneficio personale.
In questa direzione si sono mossi, in passato, alcuni dei più insigni filosofi, a cominciare da Platone.
PLATONE
Nella Repubblica, ritroviamo alcuni passaggi illuminanti sulla giustizia. Il Socrate platonico, infatti, è chiamato in causa per dirimere una questione di non poco conto, ovvero perché convenga essere giusti anziché ingiusti. Per giustificarsi, Platone non ricorre solamente ad argomentazioni di tipo comunitarista, intendendo la giustizia come una semplice virtù sociale. Considerando il problema da una prospettiva più intrinseca, si pone l'obiettivo di mostrare l'utilità della giustizia prima di tutto per chi la esercita: l'individuo.
Nel libro IV, egli ce la descrive nei termini di una "virtù dell'anima", ovvero ciò mediante cui l'anima "svolge bene la sua funzione", che è propriamente quella di farci vivere. Pertanto, se l'anima di ciascuno è giusta, essa potrà svolgere armonicamente la sua funzione, senza entrare in contraddizione con sé stessa. Essere giusti significa quindi vivere meglio e più felici, perché l'anima agirà concordemente alle sue mansioni vitali.
Da un piano introspettivo, Platone passa quindi ad illustrare i vantaggi che si ricaverebbero dall'applicazione della giustizia in una città, o qualsiasi altra aggregazione di uomini.
È evidente che ovunque regni discordia sia impossibile ottenere un qualunque utile comune. La giustizia è un criterio fondamentale persino tra chi agisce contro il bene. In caso contrario, qualora non vigesse un qualche principio di giustizia, scaturirebbe il conflitto.
In sintesi, dopo aver dimostrato che essere giusti non è un bene di per sé ma per sé, Platone si è curato di esporre i vantaggi oggettivi che derivano dalla rettitudine delle nostre azioni.
EPICURO
Non molto tempo dopo, lo stesso Epicuro sembra ragionare in maniera molto simile.
Malgrado costui analizzi la tematica della giustizia anche in termini contrattualistici (il contrattualismo procura alcuni benefici pratici), si preoccupa di illustrare come essa sia primariamente una virtù dell'anima, al punto che soltanto se si è giusti si può vivere felicemente.
Uno dei principali giovamenti apportati della giustizia consiste nell'atarassia, ovvero l'imperturbabilità.
Mi sembra che la Destra, oggi, debba poter ragionare in questi termini, trascendendo i limiti della filosofia contrattualista, che non chiariscono sufficientemente perché la giustizia (da cui l'osservanza del nomos) sia una virtù e vada realmente coltivata. Per i contrattualisti si ha ragione di essere giusti solo se
anche gli altri sottoscrivono un contratto. In questo senso, tuttavia, la giustizia è una mera convenzione e una disposizione psichica interiore. Compito della politica è quello di dimostrare perché essere giusti procuri un qualche vantaggio personale e giovi anzitutto a sé stessi.
Certo, uno dei presupposti affinché ciò sia possibile nel nostro paese, consisterebbe in una battaglia per la semplificazione giuridica.
Non bisogna dimenticare che la legge in senso moderno nasce con un intento positivo, volto a promuovere ciò che agevola l'azione dell'individuo (il suo interesse) e ad ostacolare ciò che invece funge da ostacolo al pieno sviluppo della società. L'egoismo non è perciò indiscriminato, ma ponderato da un sano e non moralistico altruismo. In una civiltà moderna, bisogna che le leggi favoriscano lo sviluppo economico di chi vi è sottoposto. Un eccesso di burocrazia o uno statuto giuridico vessatorio creano inevitabilmente le condizioni per aggirare le norme ed inseguire per altre vie il proprio utile. Più ragionevole sarebbe se le leggi stesse andassero incontro alle esigenze dell'homo oeconomicus che rivendica, giustamente, il suo diritto ad arricchirsi. Tuttavia, questo compromesso dovrebbe avvenire a tutela della comunità, che non andrebbe mai lesa nei suoi interessi.