Quanto oscurantismo nei nuovi partiti conservatori

Di Alessandro Cantoni
Una profonda crisi di identità sta attraversando l'universo politico. Per restare anzitutto nel panorama italico, osserviamo come le distinzioni categoriali di destra e di sinistra diventino sempre più sfumate, specialmente in materia economica. Nel Belpaese ci troviamo di fronte ad un caso paradossale, in cui a parlare di privatizzazioni e di revisione della spesa pubblica sono stati i governi Ds e Ulivo, mentre una certa destra vorrebbe nazionalizzare (vedi il caso Autostrade) e si dice a favore delle ideologie keynesiane.
Anche il conservatorismo è intaccato da problemi di varia natura. A suggerirmi questi pensieri è un libro di Anne Appelbaum, "Twilight of Democracy", di cui Il Foglio ha riportato alcuni estratti.
A livello partitico, in molte parti del mondo il conservatorismo prende le pieghe di un movimento a tratti reazionario e antintellettuale.
Propongo queste osservazioni in qualità di conservatore, quindi da destra.
Vorrei però che fosse chiaro ai nostri lettori cosa significa definirsi conservatori.
Anzitutto, questa corrente di pensiero non ha nulla a che vedere con una chiusura aprioristica verso il progresso e la modernità. Semplicemente, si valuta con prudenza tutto ciò che comporta un discostamento rispetto ad uno status quo o ordine costituito. Il conservatorismo è un modo di vedere le cose e la realtà di stampo fortemente etico. Il suo interesse, infatti, è quello di mantenere in auge i vincoli sociali stipulati tra gli uomini, nonché quei collanti sociali che formano il tessuto di una nazione: le tradizioni, i valori, la religione. Al contrario del progressista, che crede nella possibilità di un ordine superiore, il conservatore è più cauto ed interessato a non sconvolgere l'equilibrio armonico della società per come si è formata e consolidata attraverso i secoli.
Ciò fa di lui un riformista moderato rispetto a ciò che non rappresenta una minaccia per il sistema, mentre si oppone con fermezza a quanto può minarne le basi. Il conservatore è, per dirla con Russel Kirk, antiideologico e diffida soprattutto di quelle filosofie che promettono una migliore sorte al genere umano, come le utopie progressiste o il socialismo reale.
Al mondo esistono diversi tipi di conservatorismo, ma sostanzialmente prevalgono, sulla scena politica, quelli più nostalgici ed ortodossi. Essi non sono adatti, a mio avviso, ad affrontare lo spirito dei tempi. Sono, a modo loro, dogmatici ed ideologici. A tratti oscurantisti.
Un buon conservatore non dovrebbe rinchiudersi tra i fantasmi del passato. Dovrebbe guardare ad esso con rispetto ed ammirazione. Nella tradizione affonda le sue radici, ma i suoi rami devono potersi librare verso l'alto. Occorre un atteggiamento di apertura anziché di aperta ostilità verso il presente ed il futuro.
Nei partiti conservatori contemporanei tende a svilupparsi la tendenza opposta. Nessuna traccia di riformismo, bensì l'invadenza di un cieco ultra conservatorismo.
Tipico del politico conservatore dovrebbe essere il pensiero sistematico, anziché quello passionale ed irrazionale. Il calcolo è la sua stella polare; l'argomentazione logica ed il pensiero ordinato sono i suoi strumenti per comprendere il mondo. Non sembra però che questa prerogativa animi molti dei nostri attuali movimenti conservatori. Manca persino quell'ottimismo escatologico che dovrebbe fare da guida alle loro azioni e che permetterebbe di risolvere i problemi senza lasciare nulla al caso e al disordine.