GIANCARLO SIANI Quel giovane giornalista che morì per la verità

Di Alessandro Cantoni
Ci sono verità che è bene non raccontare. Verità amare, scomode, che non hanno solamente il fetore di una carcassa putrida, ma che sfiorano le narici con i fumeggi del sangue.
Nel mondo del "successo facile", dove si diventa celebrità per aver postato una foto provocante su Instagram, o sproloquiato al mondo la propria banalità esistenziale, non c'è quasi mai spazio per chi compie la sua missione sociale, piccola o grande che sia.
Flebile e senza fiato è rimasto il giovane Giancarlo Siani, quel maledetto 23 settembre del 1985; "vento senza voce, / solo lieve sibilio" resta il dolce canto d'un fauno nelle uggiose giornate autunnali del presente. La lievità delle foglie che cadono in questa non "verde etade" avviata al tramonto, sembra addirittura stridere con il dolore che si prova per un primigenio giunco spezzato dalla furia del vento. Quell'aria fetida porta il nome di mafia.
Giancarlo aveva solo 26 anni quando il boss Angelo Nuvoletta, affiliato al clan di Totò Riina, ne ordinò la barbara e vigliacca uccisione.
Era un ragazzo come molti, figlio del suo tempo, scapigliato, colorato. Animò i giorni confusi della contestazione, quella del Settantasette, con in mente una nuova visione della società. Sognava un mondo diverso, battendosi per la conquista di una società demilitarizzata, più attenta alla questione sociale. Era di sinistra, certo. Era un pacifista, sì, ma non di quelli alla Soros o modello "punkabbestia". La generazione di Siani era per certi versi un po' troppo idealista, forse un po' incosciente, ma certamente più attenta. I loro professori e maestri non erano i figli dei fiori, ma quelli che spregiativamente chiamavano "fascisti", e che, nel bene o nel male, avevano dato loro basi più solide rispetto agli odierni progressisti, cresciuti nell'età dell'antifascismo militante, del veteroambientalismo ed altri gadget ideologici.
Giancarlo aveva voglia di diventare grande, di dare luce ai suoi pensieri. Forse era venuto su con troppo vento e, alla fine, "quel vento gli è rimasto dentro".
Senza perdere tempo, si rimboccò le maniche e cominciò a girare nei quartieri della sua Napoli. Osservava, ascoltava, studiava. Ispezionava documenti, con il rigore e la lucidità del detective. Mica male alla sua età. Capì che la miseria e l'ignoranza dilaganti nella città partenopea portavano il marchio della mafia, che aveva investito su quella torpedine esistenziale.
In poco tempo avviò inchieste sul clan Nuvoletta, rivelando che lo stesso era intenzionato a vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto un personaggio troppo scomodo per la famiglia.
I "capi" non gliela perdonarono e lo ammazzarono proprio mentre era di ritorno con la sua Citroen Méhari.
Ancora oggi, troppi giornalisti che lottano contro la criminalità organizzata vengono lasciati soli. I loro nomi non appaiono sul grande schermo. Sono sottopagati e non hanno scorta al seguito. Anche in questo caso, si può dire che esiste un giornalismo antimafia di maniera ed uno militante. Il primo è più che altro finalizzato alla pubblicità; il secondo merita rispetto e attenzione da parte delle istituzioni.
Nomi come quello di Siani sono da scolpire nella memoria, così come quello di Giuseppe Alfano, l'eroe di destra che stilò una lista completa delle cosche mafiose nel messinese; organigramma rivelatosi particolarmente utile per contrastare Cosa Nostra negli anni Novanta. Nel caso Alfano venne incriminato il boss Giuseppe Gullotti.
Solo e
sottopagato rimase il povero Cosimo Cristina. Mai più ritrovato fu anche Mauro
De Mauro, giornalista incaricato di occuparsi della morte di Enrico Mattei e autore
di un documento sulla struttura di Cosa Nostra su suggerimento del pentito
Melchiorre Allegra. Tanti sarebbero i protagonisti da annoverare, come Giuseppe
Fava, anticipatore di quella che sarà definita la trattativa Stato-mafia,
ucciso a Catania nel 1984, oppure Mario e Giuseppe Francese. Quest'ultimo
riuscì a incriminare e processare Riina, Bagarella e Calò. E poi Giuseppe
Impastato, giovane come il povero Giancarlo; Mauro Rostagno e Giovanni
Spampinato. Requiem.