Ritratto di un romantico conservatore o anarchico di destra

28.06.2020

Di Alessandro Cantoni 

Mi è difficile tracciare un ritratto completo del Romantico. Mi limiterò, dunque, a delinearne alcuni aspetti sommari, senza la pretesa di essere esaustivo. Nella storia vi sono stati molti di questi uomini, con valori e sentimenti diversi, contrastanti.

C'è però qualcosa che li accomuna e li rende fraterni: il loro sentirsi estranei al tempo in cui vivono, allo spirito del mondo; la diffidenza verso la modernità, sebbene alcuni credano nel mito del Progresso. Un Progresso che, comunque, è Utopia (non-luogo) e non continuità storica.

Il Romantico è l'incarnazione dell'oltreuomo, del non-borghese che rifiuta di starsene al suo posto, quello assegnatogli dalla società in cui vive.

L'anarchico (o Romantico) ha un'elevata cognizione del proprio Io. Il terreno ontologico dell'individualità è ciò che va difeso con maggiore impeto. Egli vede nell'affermazione di sé non un limite alle altre singolarità - che per lui hanno pari dignità -, bensì un diritto naturale, che gli spetta per natura.

Il romanticismo è l'antitesi della mediocrità. È un ideale aristocratico, nel senso che ripudia qualunque tentativo di livellamento, sia esso morale, sociale o economico. Il Romantico, dunque, non può che essere anticomunista. E, tuttavia, prova anche una velenosa ostilità verso lo status mentale della borghesia. Non crede in un ordine morale, sebbene sia disposto ad accettarne le conseguenze e possa attribuire un significato convenzionale a tale espressione. Paradossalmente, il romantico conservatore acconsente ad un ordine razionale dato, un certo status quo, semplicemente perché è in sé autosufficiente a mantenere la stabilità e la concordia di una società. Tuttavia, malgrado questa acquiescenza formale rispetto all'ordine borghese, il Nostro seguirà piuttosto, nella vita di tutti i giorni, la sua morale interiore.

Pur irridendo la morale comune, l'anarchico di destra sa che essa serve a scongiurare il pericolo di una società caotica, corrotta nelle sue radici, disordinata ed in preda alla conflittualità.

La morale comune, così come qualunque convenzione borghese, è un'utile mangiatoia che il Leviatano affida, tramite le leggi e la tradizione, al gregge indisciplinato.

Il Romantico conservatore non ha infatti dimenticato la lezione di Hobbes sulla natura umana, per cui ritiene utile un freno agli impulsi distruttivi (Thanatos), propri della nostra specie.

Attribuendosi lo statuto del ribelle che crede fermamente al proprio senso di autodisciplina e alla conciliabilità del suo ego con l'anima del mondo, l'anarchico di destra, seppure scapigliato, non infrangerebbe mai il vincolo di solidarietà con gli altri suoi simili. La morale dei Signori è, come insegnava Nietzsche, per pochi, in quanto il genere umano si distingue in esseri superiori, in grado di attuare questa pacificazione tra Io e cosmos, ed una massa sterminata di persone comuni. A costoro conviene seguire la morale dei preti o dei servi.

Nel suo intimo, questa strana tipologia di anarchici è non credente, ma mai nichilista o antispirituale. Il cristianesimo, come ogni religione, ha valore in qualità di dottrina filosofica, in quanto Rector et Dux populi,  guida del popolo.

Al contrario di Platone, viene esclusa la possibilità di una redenzione per l'umanità nel suo insieme, destinata a brancolare nelle tenebre a non vedere mai la luce. Difficile è liberarsi dalle catene della civiltà senza trasgredirla, e quei pochi che vi riusciranno si saranno meritati, con onore, il nome Zarathustra. Danzeranno sotto la pioggia e banchetteranno con gli dèi. 

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