Se i politici fossero asini gli insegnerei a ragliare

«Ho parlato a un capra», scriveva Umberto Saba agli inizi del Novecento. Io, invece, ho parlato ad un asino. Bè, che c'è, non avete mai visto un politico che raglia? Sembrerebbe che di asini ce ne siano molti. Eppure nessuno di quelli che ho conosciuto è mai riuscito a imitare il verso di quei simpatici animali. Peccato, perché se fossero veri asini, asini di razza, gli insegnerei io a ragliare.

Non sono impazzito e non ho bevuto. Però stasera mi sono ubriacato di parole e mi sono scolato alcuni versi di Montale. Tutti voi avrete letto i Limoni, la prima poesia della sezione Movimenti in Ossi di seppia. Bene. Si apre così: «Ascoltami, i poeti laureati / si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. / Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi [...]».

Alla luce dell'insegnamento di Giorgio Caproni, mi sono detto: vuoi vedere che quella pellaccia di Montale parlava proprio degli intellettuali (i poeti laureati) e dei politici nostrani? Costoro sono quei pigri salottieri che si vantano di conoscere le cose del mondo. Già, salvo poi cercare rifugio nell'artificio, saltellando di fantasia in fantasia; di corte in corte. I suddetti non sono dei purosangue, ma degli asini. Che non sanno ragliare, per di più. Se sapessero ragliare almeno conoscerebbero quella miseria autentica fatta di «viuzze che seguono i ciglioni, / discendono tra i ciuffi delle canne / e mettono negli orti». Ma tutto questo lor signori non lo sanno. Ignorano la verità che si cela nella chiacchiera da bar (che essi disprezzano), nel sentiero infestato di rovi spinosi. Se si inerpicassero su un dirupo, scoprirebbero disarmanti silenzi, ma anche una «dolcezza inquieta», ché «tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza». Se fossero veri asini, gli insegnerei a ragliare. Solo così, forse, sarebbero più fraterni al nostro dolore.