Stiamo con Salvini

17.06.2018

Dopo più di tre mesi, il nuovo governo Conte ha una sua linea. 

Il 4 marzo, infatti, circa due terzi degli italiani si sono espressi a favore di un cambiamento reale quanto radicale. 

Non possiamo certo negare che, nonostante le prime, dovute perplessità, non siano stati compiuti significativi passi in avanti da quando Lega e Movimento 5 Stelle occupano gli scranni della stanza dei bottoni. Primariamente ciò è avvenuto sul fronte dell'immigrazione. Salvini ha dimostrato di saper tenere fede alle promesse fatte in campagna elettorale. 

Sono passate alcune settimane, in cui ho preferito mantenere il silenzio e limitarmi ad osservare le prime mosse del neo ministro degli Interni Matteo Salvini. 

Credo vada sostenuto nella sua funzione, e ciò non perché improvvisamente siamo diventati disumani, come vorrebbe far credere una certa ala della sinistra o tradizionalmente imperniata sui valori cristiani. 

Nessuno si propone di rinnegare quelle che sono da secoli le nostre radici cattoliche, oppure gli ideali contenuti nella Déclaration des droits de l'homme et du citoyen. Si tratta piuttosto di riflettere in termini politici. 

La politica si fonda sulla critica razionale degli avvenimenti contingenti della storia. Il sentimento, al contrario, in politica può produrre conseguenze nefaste, promuovendo riforme scellerate nonché contrarie ad ogni principio razionale. Salvini ragiona da illuminista; gli altri da romantici. 

Mi rendo conto che per molti è un'argomentazione difficile da accettare, ma del resto è la sinistra (che invece accusa le forze populiste di destra) ad applicare i criteri non logici in senso kantiano della sfera emotiva, sentimentale, agendo seguendo il cuore anziché le facoltà dell'intelletto. 

Il Paese Italia non può più permettersi di seguire linee di apertura, trasformando le nostre frontiere in confini liquidi o, come ipotizza qualcuno, addirittura inesistenti. 

Occorre ricordare ancora una volta che la politica è pràxis, azione, ed è estremamente concreta, aliena da ogni filosofia. Primum vivere, deinde philosophari, asserivano i latini.  

Confrontandoci dunque con la realtà fattuale scopriamo che l'Italia non è in grado di gestire i flussi migratori a causa della pressoché totale inefficienza dei centri di accoglienza e per l'integrazione (Sprar) e, in secondo luogo, la quasi assoluta assenza di adeguate strutture predisposte ad ospitare le migliaia di migranti giunti sul nostro suolo. 

Ovviamente esistono casi virtuosi, ma vanno contestualizzati in un sistema che, a presente, rischia di collassare. 

Alle motivazioni di ordine tecnico si sommano quelle di carattere sociale (lo sfaldamento del tessuto sociale) e storiche. 

Vi è un problema culturale, antropologico, il quale rappresenta un ostacolo oggettivo alle politiche migratorie. Gli italiani devono fare i conti con un passato travagliato, segnato da tensioni, conflitti tra fazioni, comunità limitrofe. Campanilismi di cui è costellato l'intero panorama storico italiano. 

Il nostro popolo non è mai riuscito a trovare quella unità morale sostanziale tanto agognata. Perciò bisognerebbe agire con gradualità, ma soprattutto coscienza storica. Montanelli amava ricordare che un Paese sprovvisto di conoscenza storica è destinato a soccombere. Comprendiamo, oggi, il senso di quelle parole. 

Fratturare un tessuto sociale precario e potenzialmente conservatore può rivelarsi pericoloso, oltre che controproducente. 

Paradossalmente, quelli che a torto sono stati definiti i nuovi "barbari" da parte degli statisti europei (sic!), si sono rivelati più abili e all'altezza della situazione.            

  

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