Storia d'Europa dall'antichità ad oggi

19.07.2020

Un unico fil rouge lega gli avvenimenti e i movimenti culturali d'Europa. Una civiltà che condivide un solo destino.  

Di Nicolò Corradini

No. Questa non vuole essere una soluzione di comodo. Potrebbe esserlo e sarebbe facile farla passare per tale, ma una posizione sfumata e complessa rischia sempre di apparire cerchiobottista. Come sempre, sta a chi legge o ascolta intendere nel modo giusto. Ciò detto, non possiamo, come Italiani, non sentirci europei, perché dall'Italia (e dalla Grecia prima ancora) viene l'idea stessa di Europa.

In Grecia, nel V secolo a.C., le minuscole entità politiche dette poleis si scontrarono e sconfissero quello che allora era uno sterminato impero autocratico, con all'apice un Re dei Re divinizzato in terra. Le poleis, le libere cità-stato elleniche, non potevano accettare di sottomettersi il rito della proskynesis, la prostrazione deferente verso un sovrano: per questo motivo, per rivendicare con orgoglio l'uguaglianza di ogni polites di fonte alla legge, combatterono le guerre persiane e si sacrificarono i mitici Spartiati guidati da Leonida alle Termopili. Intanto, all'incirca negli stessi anni, nel 509, nella penisola italica era stata fondata la res publica romana, che si dotava un senato, formato da coloro che si credeva fossero discendenti dei fondatori dell'Urbe, e di due consoli con un mandato di un anno, alla scadenza del quale sarebbero decaduti e ad essi sarebbero subentrati altri due magistrati dai poteri ampi ma limitati. Per i Romani, fin oltre il principato di Augusto, furono sempre visti con sospetto ed ostilità coloro che avessero voluto ergersi al di sopra del senato della repubblica. Intendiamoci, sia in Grecia che a Roma l'attività politica fu sempre appannaggio di pochi ricchissimi, proprietari terrieri e quindi "azionisti" dello Stato stesso. Solo nell'Atene di Pericle la democrazia fu estesa a tutti, ma il suo mantenimento in termini economici necessitò allora di una politica estera aggressiva e imperialista: nella sostanza i cittadini liberi erano identificati con la classe abbiente.

Di lì in poi, nell'Impero romano e successivamente nel Medioevo, vi fu sempre una netta distinzione fra l'autorità statale( indebolitasi dopo la caduta dell'Impero) e i singoli uomini. Il Cristianesimo, che già nei primi secoli di diffusione aveva scatenato le persecuzioni dei Cesari rifiutandosi di adorarli come autorità soprannaturali, nei secoli dell'Alto Medioevo mantenne viva la tradizione antica elevando l'individuo, in quanto creato a immagine di Dio, al di sopra dei soprusi dei vari sovrani che si succedettero. Nella società feudale, i sovrani erano nei fatti distanti dai loro vassalli e, come ben si ricorda dagli studi della scuola elementare, anche tra questi ultimi esistevano diversi gradi di prestigio e potere, tali per cui le tendenze accentratrici rimasero per secoli deboli e di scarsa incidenza. Forti di questo lascito culturale e civile, dal Mille in poi gli uomini europei fecero fiorire piccole realtà locali quali i Comuni in Italia e le ricchissime città di mercanti tedesche e fiamminghe. In generale, si delineò un'Europa costellata di città, gelose della propria autonomia e delle proprie tradizioni. Nel XII secolo, l'imperatore del Sacro Romano Impero Federico I Barbarossa, avvalendosi della riscoperta del diritto romano operata dagli studiosi dell'università di Bologna, pensò bene di assoggettare le città libere in Italia e Germania rivendicando gli iura regalia imperiali, ma fu combattuto e sconfitto dai Comuni padani nella battaglia di Legnano del 1176: ancora una volta gli Europei si dimostrarono insofferenti a qualsiasi autorità imposta dall'alto e distante dal sentimento popolare.

Allo scadere del Medioevo, nel 1492, gran parte d'Europa aveva abbracciato un modello di Stato accentrato e solido, dalla Spagna della dinastia castigliano-aragonese alla Francia di Carlo VIII di Valois, mentre il Sacro Romano Impero era guidato da un sovrano eletto da sette grandi elettori, in forza della Bolla d'Oro emanata da Carlo IV di Lussemburgo nel 1356 e che resterà in vigore per i successivi cinquecento anni. Il principio stabilito nella Pace di Augusta del 1555 e riassunto nella formula cuius regio et eius religio avrebbe in seguito ribadito e rinforzato la frammentazione tedesca, dividendo i Länder su base confessionale. In questo senso, dunque, Italia e Germania si trovarono accomunate tra loro e contraddistinte dal resto d'Europa per la mancanza di un potere centrale forte.

Sarà poi con il Seicento e, ancor più, con il Secoli dei Lumi che l'uomo europeo avrà modo di misurarsi con i propri limiti, le proprie ambizioni, le proprie speranze e suggestioni spaventose. I limiti saranno rincorsi,

raggiunti e superati da formidabili intelligenze quali Galileo Galilei, che, credente e devoto, subirà suo malgrado una condanna per eresia e una damnatio memoriae da parte di Santa Romana Chiesa, quella stessa istituzione universale (per nome e per vocazione) che negli stessi anni esprimeva un Federico Borromeo, eroico paladino degli umili durante la peste di Milano e fondatore della ricchissima Biblioteca Ambrosiana. I limiti dell'architettura furono superati da un Gianlorenzo Bernini, con il suo sontuoso baldacchino sorretto da superbe colonne tortili di San Pietro in Vaticano, mentre l'acume filologico di Jean Mabillon, con i sei libri della sua opera De re diplomatica, sorpresero nientemeno che Jean-Baptiste Colbert che, per conto di Luigi XIV, lo inviò in giro per l'Europa col compito di arricchire la biblioteca reale. Nel Settecento fu ambizione del nuovo ceto colto, borghese o aristocratico, migliorare la vita quotidiana attraverso uno strumento che fino ad allora era stato considerato come fumus Satanae dalle autorità religiose: l'economia. Nacque il pensiero economico, con il contributo innovativo dei Tableau économiques (1758) di François Quesnay, iniziatore della corrente fisiocratica (scuola economica secondo cui l'agricoltura è la vera base di ogni ricchezza), e poi di Adam Smith, che con il suo trattato La ricchezza delle nazioni (1776) darà inizio al pensiero economico liberale. Sul piano tecnologico, il Settecento assistette ad una miriade di fondamentali invenzioni, frutto dell'estro e delle abilità empiriche di tecnici brillanti, tra cui spiccano quelle di James Watt e Richard Arkwright. Il primo nel campo della meccanica a vapore, essendone divenuto pioniere nel 1775 e di cui poi elaborò ulteriori perfezionamenti in termini di consumo di combustibile, dispersione di calore ed energia prodotta. Richard Arkwright, per parte sua, diede un contributo fondamentale all'introduzione, tra il 1765 e il 1780, dei primi filatoi meccanici: la produttività del lavoro ne risultò oltremodo incrementata, arrivando a produrre, nella medesima unità di tempo, la quantità di prodotto per cui cinquant'anni prima sarebbero stati necessari almeno cento filatori.

Il Settecento, però, non si potrebbe chiamare davvero Secolo dei Lumi se si tralasciasse l'opera fondamentale dei philosophes illuministi. Di questi, nel mare magnum di spiriti augusti, ne prenderò in considerazione tre, nella speranza di non apparire banale: Giovanni Battista De La Salle, Choderlos De Laclos e Carlo Porta. Un santo, uno scrittore ribelle e un poeta dialettale. Il primo, fondatore della prima congregazione laicale della Chiesa cattolica, fu riformatore dell'istruzione nella Francia del Re Sole (1661-1715): per la prima volta le lezioni non venivano impartite individualmente ma a piccoli gruppi, inoltre si apprendeva a leggere in francese e non in latino. Furono introdotte anche scuole serali per giovani lavoratori, scuole a indirizzo professionale e commerciale. Giovanni Battista De La Salle è oggi venerato come santo ed è patrono degli insegnanti. Choderlos De Laclos, invece, fu un militare poco ligio all'austerità del suo ambiente... avendo un'innata vocazione letteraria, pubblicò nel 1782 Le relazioni pericolose, spregiudicato e tragico affresco del mondo aristocratico alla vigilia della Rivoluzione: attraverso la fitta narrazione epistolare che vede coinvolti due cinici amici/amanti, il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil, e i personaggi che via via vi entrano in contatto, viene messa a nudo la morale dissipata e godereccia di quelli che i sanculotti parigini reputeranno rentiers improduttivi e viziosi. Il tratto magistrale e inconfondibile di De Laclos si rivela nello squisito gioco retorico con il quale viene messa in campo l'arte della seduzione, che riveste ad un tempo la funzione "espansionistica" dell'arte militare (si ricordi l'ambiente di provenienza dell'autore) e quella analitica della disamina psicologica. Ultimo in ordine ma non certo per importanza, Carlo Porta è a pieno titolo esponente della borghesia colta milanese: dopo gli studi di filosofia e teologia, accede ai salotti letterari della Milano illuminista e già preromantica. Pur rappresentando la borghesia illuminata figlia del Settecento, siamo già nell'Ottocento. È ricordato soprattutto per essere stato sublime poeta dialettale: dalla Ninetta del Verzee a Desgrazzi de Giovanin Bongee (1812-1814), dal Miserere al Lament de Marchionn de gamb avert. Amico personale di Giovanni Berchet e Alessandro Manzoni, la sua poetica si contraddistingue per il disilluso realismo, degli ambienti così come del linguaggi dei ceti più poveri e nella rappresentazione delle meschinità a ui obbliga la fame.

Speranze, dunque: speranze di cambiamento sociale, di riforme morali e per lo meno di prospettiva nei confronti della Natura e del Sapere (la fuoriuscita dallo "stato di minorità" di cui parla Kant nella Risposta alla domanda "cosa è l'illuminismo?"). Queste speranze saranno, in parte, deluse dalle spaventose suggestioni che Francisco Goya riassumerà nel dipinto Il sonno della ragione genera mostri, laddove sueño in spagolo si può tradurre sia con "sonno" che con "sogno": la delirante pretesa di Maximilien de Robespierre e dei suoi giacobini di instaurare un regno della Dea Ragione in un mondo intrinsecamente complesso e contraddittorio sarà il prodromo del Terrore e delle teste mozzate dalla macchina del dottor De Guillotin. L'Europa, dagli anni novanta del Settecento al primo ventennio dell'Ottocento sarà poi rischiarata del fulgido e irresistibile fascino di Napoleone. Seguirà la primavera delle nazioni, intrisa di romanticismo e di passione civile, poi la crescita economica del secondo Ottocento e della Belle Époque, per terminare nella carneficina fratricida delle due guerre mondiali.

Oggi l'Europa può vantare un ininterrotto periodo di pace da settant'anni, ma la pace non significa soltanto e banalmente evitare di spararsi l'un l'altro: occorre implementare il senso civico comune, costruire un vero e sentito senso di appartenenza europeo, perché il Vecchio Continente possa ripresentarsi al mondo rivestito dell'autorità culturale e storica di cui è depositario al di sopra di chiunque altro.

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