Umanizzare la natura
Di Alessandro Cantoni
Vivere secondo natura
significa adattarsi al movimento e seguire la ragione teoretica e quella
pratica: non solo istintività, non solo ragione.
Lo studio della filosofia greca ci è utile sotto molti punti di vista, tra cui cito i seguenti: comprendere com'è fatto il nostro universo, che cos'è l'uomo, e verso quali obiettivi dovrebbe tendere la sua vita.
L'uomo greco (ma sarebbe meglio dire il filosofo greco) si sentiva una parte dell'universo e, per questo motivo, cercava di vivere in accordo alle sue leggi. Ma, esattamente, quali sono le leggi della natura e che cosa significa vivere secondo natura?
Quando oggi si parla di giusnaturalismo (letteralmente legge di natura), molti si ritirano dalla discussione con imbarazzo o si lasciano prendere da sconforto. Ciò avviene perché si discute impropriamente di ciò che è naturale e di ciò che alcuni considerano contro natura.
Credo, in realtà, che la migliore definizione della stessa sia quella data da Aristotele: il più grande scienziato-filosofo dell'età classica, colui il quale ha riportato la filosofia al rango di "scienza" strictu sensu.
La natura secondo Aristotele: casualità e ragione teoretica
In accordo con Aristotele, potremmo dire che vivere "secondo natura" può intendersi nel modo seguente: secondo tutti i modi di cui si dice l'essere. L'essere, infatti, si dice secondo le varie categorie, ma anche secondo la potenza e l'atto (dunque il movimento). Non c'è soltanto l'essere-in-quanto-essere, la sostanza (o la forma) che è qualcosa di immutabile e di sempre uguale a se stesso: la vita dell'essere (o della natura) è attraversata da movimenti e da mutamenti di vario genere.
Pertanto direi che la vita naturale è vissuta in due modi: fenomenicamente (così come si manifesta ai sensi, ovvero in movimento) e noumenicamente, ossia secondo la forma, la sostanza.
Cosa significa, concretamente? Se fossimo soltanto soggetti a divenire, la nostra vita scorrerebbe via come un fiume, senza sosta; tuttavia, l'esistenza di un essere stabile fa pensare anche alla quiete, al riposo in se stessi. Il riposo coincide con la concordia animi, l'animo raccolto in sé, nel proprio pensiero, e nella certezza di sé. In breve, si tratta di costruire un'identità specifica, poco importa di che tipo. Questa è la vita sostanziale, di cui ha bisogno ogni essere umano: cogito, ergo sum.
Il pensiero non può pretendere di giungere a verità, salvo nella conoscenza. Per questo Aristotele considerava la vita teoretica la migliore forma di esistenza e la sapienza una forma di autocontrollo, di possesso di sé.
La ragione pratica
In secondo luogo viene la morale, o quella che il filosofo di Stagira definiva "virtù politica". Anche quest'ultima è importante nella vita di un essere umano perché, al pari della conoscenza, ci dà l'idea di una certa libertà. La ragione ci porta, oltre che a vivere con i sensi, a esistere in maniera sostanziale, e quindi razionale: c'è una ragione teoretica (la conoscenza) ed una pratica (la morale). Hegeliani e kantiani si dividono nell'affermare il primato dell'una o dell'altra, ma entrambe sono fondamentali.
La morale è di origine naturale (poiché trae fondamento dai sensi) ed è buona quando, come ha indicato Aristotele, conduce ad uno stadio intermedio tra due passioni eccessive ed opposte.
In base a quanto si è detto, l'uomo resta un elemento della natura e, al tempo stesso, qualcosa di più: si libera dal suo determinismo grazie alla forza della ragione. Conduce un'esistenza equilibrata, a metà tra la natura (l'istinto) e la razionalità.
L'uomo, del resto, deve avere una sua dignità, come scriveva Schiller: e questa consiste nel potere della ragione di dare alla natura una forma umana.