Una nuova cultura per il domani

15.05.2020

Il problema, oggi, non è la mancanza di cultura, ma il suo uso ragionato e responsabile. 


Di Nicolò Corradini

Il tema della cultura è, oggi, oggetto, il più delle volte, di immotivata retorica. Tutti, in verità, pretendono di avervi voce in capitolo, specie in Italia dove, complici il nostro straordinario patrimonio artistico e storico e "l'eccessiva preoccupazione della forma" (G. I. Ascoli) a scapito della diffusione della cultura, tutti bramano di essere chiamati intellettuali. 

MAGGIORI CONOSCENZE, MINORE QUALITA'  

Ciononostante, è da dire che oggi il livello medio delle conoscenze largamente diffuse si è notevolmente alzato: purtroppo, si è notevolmente alzato in quantità, non sempre in qualità. A nessuno ha mai fatto piacere, nel bel mezzo di una discussione, starsene zitto e dare a credere di non sapere niente dell'argomento in questione; perciò ecco che a chiunque può venire in soccorso quello strumento foriero di ogni erudizione che è Wikipedia. Chiariamo: non vi è nulla di male nell'avvalersene, ma il fine di un simile strumento dovrebbe essere predisporre alla curiosità, all'approfondimento, piuttosto che alla foga di pronunciarsi su ogni aspetto dello scibile umano. 

GIOVANI PIU' PREPARATI: LINGUE STRANIERE E TECNOLOGIA  

Guardandomi attorno, non posso fare a meno di spezzare una lancia in favore della tanto vituperata "cultura dei giovani d'oggi", espressione caratterizzata da un malcelato e altrettanto malriposto snobismo, che fa finta di non vedere invece quante competenze e che gran mole di informazioni assorbono costantemente i giovani d'oggi rispetto ai loro coetanei del secolo scorso. I giovani di oggi hanno in media viaggiato molto di più dei loro genitori, hanno maggiore padronanza delle lingue straniere, non hanno difficoltà ad intrattenere relazioni anche all'estero, avvalendosi dei mezzi multimediali. Ecco due skills che il mondo di oggi ha guadagnato rispetto al passato: familiarità con le lingue straniere e facile accesso alle tecnologie. 

RIFORMARE LA SCUOLA

Detto ciò, mi preme dire altresì che l'accesso alla cultura non significa padronanza della stessa, ma anche qui la colpa non ricade sui giovani: sarebbe tempo, in Italia, di elaborare una profonda e generale riforma della didattica scolastica, dei programmi così come della durata dei vari cicli di studio. Innanzitutto, a parere di chi scrive suona ridicolo che non si possa votare prima del compimento del diciottesimo anno (considerata l'incidenza del singolo voto sul totale) ma si possa tranquillamente prendere la decisione di interrompere gli studi, con tutte le ricadute sociali ed economiche di avere giovani con la licenza media inferiore: quindi, d'uopo sarebbe innalzare l'obbligo scolastico fino alla maggiore età. In secondo luogo, la stessa istruzione pare non essere più idonea al mondo di oggi, essendo rimasta sulla falsariga della riforma Gentile del 1923, la quale era certo ottima per un sistema produttivo fordista, in cui esisteva una notevole distanza sociale tra un operaio e un professionista, tanto nella specializzazione del lavoro quanto sul piano remunerativo, ma il livellamento degli standard di vita realizzatosi negli ultimi anni imporrebbe di cambiare modulo. La scuola di oggi dovrebbe tendere a fornire competenze utili per il mondo che ci circonda, pur mantenendo la credibilità dell'istituzione scolastica: a che servono programmi di storia che pretendono di fornire un'infarinatura (sfido chiunque a chiamarla in altro modo) su tre millenni di storia umana? Non sarebbe meglio passare cinque anni di scuole elementari studiando meglio la storia europea moderna e contemporanea, per poi allargarsi nei successivi cicli di studio alla storia mondiale e alle sue correlazioni con l'Europa? Per quanto concerne le storie antiche e la medievale, poi, si potrebbe pensare di insegnarle in modo già specialistico a coloro che scelgano un indirizzo di studi umanistico. Qualcuno rimprovera la scuola italiana di eurocentrismo: a mio avviso non è di per sé un male, a patto che si sia eurocentrici pur conoscendo anche gli altri. Riguardo l'insegnamento della lingua italiana, si potrebbe pensare di aumentare l'assegnazione di letture a casa, dedicando poi tempo alla discussione di tali letture in classe. Inoltre, chi scrive si è trovato al primo anno della facoltà di Lettere a svolgere "test d'ingresso" con domande sull'analisi grammaticale, logica e del periodo: questo presuppone che in una facoltà che dovrebbe preparare all'insegnamento dell'italiano ci si domandi se i candidati a tale compito conoscano la grammatica! Se guardiamo invece alle discipline scientifiche, assistiamo allo stesso modo ad un imbarazzante deficit di capacità di ragionamento logico e di osservazione, che inficia tanto la risoluzione di problemi teorici quanto di quelli pratici. Queste lacune potrebbero essere risolte, ad esempio, proprio rafforzando l'insegnamento delle categorie della grammatica italiana e introducendo fin dalle scuole medie nozioni di linguistica e di logica filosofica, così come non sarebbe affatto da sottovalutare l'importanza dell'educazione tecnica, impartita alle scuole medie e fondamentale per iniziare ad approcciarsi alle realtà produttive che ci circondano. Inutili, invece, paiono essere le ore di informatica, data la progressiva semplificazione dei programmi da un lato e l'abitudine all'utilizzo delle tecnologie fin dalla tenera età dall'altro. Un ultimo tema che merita attenzione nel mondo di oggi è la critica ragionata delle fonti, da cui il problema mediatico e politico delle fake news: compito dell'istruzione pubblica dovrebbe essere anche quello di fornire strumenti di discernimento sulla veridicità delle fonti, aiutando i ragazzi a districarsi nella selva delle informazioni circolanti nella Rete. 

Insomma, il problema oggi non è tanto la mancanza di cultura, che a dire il vero non è mai stata tanto a portata di mano per tutti, quanto il suo utilizzo ragionato e responsabile. Alla società civile e alla politica il compito di intervenire. 

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