Una nuova politica sindacale per le lotte dei lavoratori

23.03.2020

In esclusiva, l'intervista al Segretario Generale Ugl, Paolo Capone. 

Di Alessandro Cantoni

La centralità del sindacato è un tema che deve starci a cuore in un contesto nel quale i lavoratori, ma anche gli imprenditori, vivono un momento di particolare difficoltà. È fondamentale, in questo senso, che i corpi intermedi garantiscano la propria funzione di rappresentanza e siano in grado di accordarsi con la politica.

Nel corso di questi anni, tuttavia, sono emersi alcuni contrasti all'interno del mondo sindacale, ed è il motivo per il quale abbiamo chiesto al Segretario Generale della Ugl, Paolo Capone, di fornirci alcune risposte in merito all'ipotesi di un'unione sindacale, in cui sia possibile coalizzare l'intera classe lavoratrice italiana, seppur nel rispetto delle pluralità. Imprescindibile non è soltanto la capacità di mediazione e di condivisione di obiettivi comuni tra sindacati, ma anche la facoltà di saper cogliere i nuovi processi di sviluppo lavorativo e tecnologico al fine di governare i cambiamenti e rappresentare nuove categorie sorte a seguito di un'evoluzione del mercato del lavoro.

Segretario Capone, in un recente articolo di Libero ho lanciato una proposta politica relativamente ad un'auspicabile unione sindacale, finalizzata ad assembrare in un'unica forza la classe lavoratrice. Questo permetterebbe di rendere più concreta la richiesta di quei diritti sociali ed economici di cui necessitano i lavoratori. Crede si tratti di una strada praticabile?

Il pluralismo sindacale riflette la pluralità delle idee e, tra l'altro, è in linea con la tradizione del sindacalismo italiano e con il dettato costituzionale che garantisce la libertà di associarsi liberamente. Pertanto, la pretesa di voler "inquadrare" i lavoratori in un unico contenitore va inevitabilmente a discapito di quel pluralismo che è il cardine di ogni democrazia. È comunque auspicabile che i sindacati lottino in maniera unita per la tutela dei diritti dei lavoratori, tralasciando eventuali interessi di parte.

Quali sono le battaglie ideologiche del vostro sindacato per quanto riguarda i diritti socio-economici dei lavoratori?

L'Ugl fonda le sue radici nel principio costituzionale della partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese che si realizza con il confronto tra proprietà e forza lavoro che, insieme, definiscono obiettivi, percorsi e benefici idonei al raggiungimento dei risultati. Solo così, le parti sociali possono mettere insieme - in una successione virtuosa - consenso, progettualità, partecipazione, in una cogestione delle dinamiche economiche e sociali. Si tratta di un sistema che consente di superare lo scontro di classe tra datore di lavoro e lavoratore, rivalutando l'aspetto negoziale tra componenti importanti del processo produttivo. La partecipazione è anche uno strumento utile alle imprese per attraversare più agevolmente i momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo.

Ricordo anche che l'Ugl è costantemente impegnata nella tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Riteniamo che si tratti di una battaglia in primo luogo di carattere culturale, da cui una forza sindacale non può assolutamente prescindere.

L'UGL è un sindacato che agisce in una prospettiva interclassista e chiede il superamento della visione categoriale, settoriale. È così?

Il superamento dei conflitti tra le parti sociali è nello spirito del principio della partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese che va coniugato certamente con una visione pacifica delle relazioni industriali, nella consapevolezza che i comuni obiettivi di produttività e di benessere siano più facilmente raggiungibili per lavoratori e imprese. La visione intercategoriale è connaturata alla nostra struttura confederale. Ogni rivendicazione categoriale deve essere coniugata con il superiore bene comune. Questo ci differenzia dai sindacati autonomi.

Oggi i corpi intermedi, come le sezioni di partito ed i sindacati, sono percepiti come meno efficaci nell'intermediazione tra la base sociale e la politica. Secondo lei in cosa consiste l'errore? Il mondo sindacale ha delle responsabilità?

In Europa e in Italia, è un momento difficile per i corpi intermedi. Partiti e sindacati, complice la crisi economica scoppiata nel primo decennio degli anni 2000, vengono percepiti, purtroppo, come soggetti incapaci ed a tratti inutili. I sindacati, occorre dirlo, stanno patendo quella che si potrebbe definire una crisi di identità e di funzione, che tuttavia si affievolisce quando essi intendono il loro ruolo sul terreno dell'assistenza ai lavoratori e non soltanto all'interno dei luoghi di lavoro. Il movimento sindacale ha avuto un ruolo importante nella costruzione di società pluraliste e democratiche come la nostra ed oggi, più che mai, deve saper cogliere il passo dei tempi, misurandosi con l'innovazione, il cambiamento, il nuovo mondo. Solo in questo modo i sindacati potranno dimostrare che sono irrimediabilmente fondamentali per affrontare i mutamenti del mondo del lavoro, caratterizzato, nella maggior parte dei casi, dalla flessibilità del salario e dell'occupazione. Per tali ragioni, il sindacato del futuro deve impegnarsi, oltre che nel migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, nel saper governare i processi globali e le opportunità che derivano dal progresso delle tecnologie e dalla diffusione di nuove conoscenze. Solo così potrà svolgere una funzione costruttiva nell'economia, fondamentale nei momenti di crisi così come nei periodi di crescita e funzionale alla distribuzione del benessere, senza la quale i sistemi democratici si impoveriscono e si indeboliscono.

Ad esempio, un elemento che si rimprovera alle associazioni di rappresentanza dei lavoratori è quello di aver chiuso le porte alle esigenze dei giovani, puntando sulla tutela di chi già si trovava inserito nel sistema di mercato, anziché sugli emarginati e gli esclusi. È d'accordo con questa ricostruzione?

A tratti è vero. Ecco perché il rinnovamento del sindacato deve misurarsi sul fatto di quanto sia capace nell' individuare e tutelare gli interessi dei nuovi lavori e delle esigenze delle giovani generazioni, non trascurando tuttavia anche i trattamenti previdenziali che consentono, a chi ha lavorato, di trascorrere dignitosamente il resto della sua esistenza.

Com'è il rapporto con gli altri sindacati, ad esempio la Cgil, la Cisl, la Uil? Esiste un dialogo tra le parti, oppure una chiusura totale?

I rapporti sono buoni. Ci sono interlocuzioni su tanti temi e in questo momento è importante stare uniti e dalla parte di chi sta subendo la crisi in maniera più pesante.

Come valuta le scelte adottate fin ora dal governo per fronteggiare l'emergenza coronavirus? Sono sufficienti a supportare il mondo produttivo, delle imprese e dei cittadini?

Istituzioni e parti sociali devono essere coesi per superare questo momento critico. Occorre stanziare subito ingenti risorse e fondi straordinari a supporto di tutti: lavoratori e imprese. È prioritario, nondimeno, immettere liquidità nel sistema per far fronte alle conseguenze economiche dell'epidemia e i fondi stanziati dal Governo rischiano di non essere sufficienti.

Ci troviamo, indubbiamente, in una fase molto delicata ed emergenziale. Una volta tornati alla normalità, quali dovrebbero essere, secondo lei, le strategie economiche da adottare? Ha senso distribuire in deficit redditi che non sono stati prodotti e continuare a sostenere una spesa improduttiva, particolarmente onerosa?

Dati alla mano, le politiche "lacrime e sangue", fondate sull'austerity sono state completamente sbagliate perché non ci hanno fatto uscire dalla crisi economica scoppiata nel 2008. È evidente, quindi, che non servono modelli econometrici particolarmente raffinati per capire che l'austerità, al contrario delle politiche espansive, allunga i tempi di uscita dalla crisi e fa crescere la disoccupazione. E a confermarne l'effetto nocivo c'è proprio l'Italia, con la lunga fase recessiva che l'ha contraddistinta. Occorre dunque un forte piano di investimenti in infrastrutture strategiche per il Paese, soprattutto in campo sanitario, settore che a prima vista sembra improduttivo, ma che è estremamente importante, soprattutto in periodi come quelli che stiamo vivendo. Ritengo, inoltre, improcrastinabile impiegare grandi risorse nel welfare, cioè in quel complesso sistema di accompagnamento nei percorsi di vita e di sostegno alla fragilità che oggi rappresenta il fulcro delle questioni economiche e sociali. La crisi economica degli anni scorsi ne ha evidenziato con forza il suo valore e, per tale ragione, è necessario rivisitarlo, riformarlo e non svilirlo con politiche all'insegna dell'austerità.

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